venerdì 12 febbraio 2021

 

                   1321 – 2021/ OMAGGIO A DANTE

Nell’occasione dell’anniversario della morte di Dante, ripubblico qui di seguito la nota che scrissi e pubblicai sul mio blog in data appresso indicata

mercoledì 9 aprile 2014

             LA POESIA ALLEGORICA E LA BEATRICE DANTESCA  

  Nella letteratura, il lavorio di molti critici nei secoli fa non di rado sorridere. .Non  parlo del lavorio per chiarire pensieri e commentare opere con un proprio vocabolario appropriato, ma di quello del ricercare puntigliosamente, fra le righe e le parole degli autori, qualcosa che gli autori medesimi non vi hanno messo e, anzi, di inventare più di qualche cosa che gli autori non hanno inteso dire.

  E’ il caso del lavorio di molti critici nei confronti di Beatrice, la creatura poetica di Dante ed anche, forse in minor misura, di Laura, creatura poetica del Petrarca.
  Hanno voluto identificare per forza  donne reali con quel nome, quando donne reali nelle opere poetiche di cui si parla non ci sono. Sanno bene che nelle opere dantesche ci sono allegorie, ma non ammettono che tutta l’opera di Dante è allegorica, compresa, quindi, la figura di Beatrice, che, come dice il Poeta nella Vita Nova, cap.II “La quale fu chiamata da molti Beatrice, li quali non sapeano che si chiamare”. In proposito è bene subito notare che “fu chiamata da molti” Beatrice, non da tutti, quindi, ma  solo da quelli che conoscevano il codice di comunicazione, cioè dai Fedeli d’Amore.
   Riguardo a Beatrice, è vero che cominciò il Boccaccio a volerla identificare con la Portinari, proprio il Boccaccio che tanto critico non è, quanto poeta e scrittore; evidentemente però volle attaccarsi anche lui per primo la malattia dei critici, quella d’inventare ciò che non c’è nelle opere commentate. Ma va che il Boccaccio non l’abbia fatto apposta!
  A riguardo di Beatrice, basterebbe tener presente la complessa personalità culturale di Dante, che non era solo quella del poeta o del letterato.
  Si potrebbe dire che Dante poteva essere egli stesso quasi un’enciclopedia incarnata e personalizzata, una “summa” del sapere del suo tempo; e che egli non  solo sapeva utilizzare al massimo dell’efficacia come suoi personali strumenti il pensiero aristotelico-tomista e il sistema tolemaico,  ma certamente era anche padrone di complessi sistemi simbolici  ed esoterici, le cui tracce potrebbero essere riferibili a saperi sotterranei, come ad esempio a quelli dei Templari e a quelli degli gnostici. 
   D’altra parte i saperi segreti hanno sempre avuto corso sotterraneamente nelle società autoritarie e chiuse di ogni tempo, figuriamoci al tempo delle eresie, dei roghi, delle streghe, dei maghi. Come Dante avrebbe potuto esprimere e comunicare saperi e tesi divergenti in quel suo tempo così ricco di fervori religiosi e di eresie ferocemente condannate, quando si mandavano al rogo i Templari, fra’ Dolcino e chiunque accusato di magia e stregoneria,  se non attraverso un complesso linguaggio simbolico organizzato e finalizzato alla circolazione delle idee verso e tra  “chi sa”, cioè verso e dentro una cerchia  ristretta di adepti in grado di riconoscere ed interpretarne correttamente  il codice di comunicazione? Dante stesso, nel IX canto dell’Inferno, scrive: “ O voi ch’avete li ‘ntelletti sani,/ mirate la dottrina che s’asconde/ sotto ‘l velame de li versi strani”.
  Sono molti ormai che hanno messo in luce l’architettura  allegorica delle opere  dantesche, dell’irrealtà di Beatrice e della sua metafora. Eppure si continua ad insegnare nelle scuole la favola di un’ignota Beatrice Portinari per non voler scoprire il senso del “velame de li versi strani” che sta a difesa tuttora  di secolari incrostazioni di “potere”, difficile ancora oggi da scuotere.
    Infatti nelle opere dantesche Beatrice è solo una delle figure simboliche, fra quelle di Virgilio, Lucia, S. Bernardo, l’Aquila, la Rosa, ecc. Ne cominciarono a parlare dopo tanti secoli Gabriele Rossetti,  pronto a riconoscerne i linguaggi simbolici in quanto rosacrociano, poi Foscolo, Pascoli, Luigi Valli, René Guenon e via via tanti altri.
   Se ne proseguì a parlare a mano a mano che certi “poteri” si affievolivano nel tempo (ancora nel Seicento fra’ Tommaso Campanella era accusato di tenere nascosto un  diavoletto nell’unghia d’un suo mignolo!) mentre altri poteri emergevano dalla storia e trionfavano sugli antichi, specialmente con la Dichiarazione d’Indipendenza dell’America e la Rivoluzione Francese. Ma a parlarne furono voci pur sempre soffocate, tenute ai margini della cosiddetta ufficialità, tanto da  mantenere  soprattutto nelle scuole la puerile interpretazione, che indica nella  Beatrice dantesca la carnale Beatrice Portinari: segno che non tutte le incrostazioni dei vecchi “poteri” che affondano le radici nei sistemi del pensiero medioevale sono state rimosse dalle strutture politiche e culturali della nostra società.

 

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