domenica 25 marzo 2012

                          L'OTTAVA
    L'ottava, detta anche ottava rima (es. poema in ottava rima)
è una strofa formata da otto endecasillbi: i primi sei a rima
alternata e gli ultimi due a rima baciata.
    Cominciò ad usarla il Boccaccio nella poesia narrativa, poi
divenne la forma strofica dei poemi cavallereschi: del Pulci,
del Boiardo, dell'Ariosto, del Tasso, poi anche del poema
eroicomico del Tassoni, di altri poemi e poemetti.
    Caduta in disuso nella poesia letteraria, l'ottava è restata
viva nella poesia popolare, particolarmente come forma
specifica dei poeti a braccio.
     Riporto qui di seguito una composizione in due ottave
di mio padre, morto nel 1981, in cui si colgono vari
riecheggiamenti di forme auliche, ma con pensieri
ricchi di riferimenti attuali.

                         AGLI ASTRONAUTI

Voi che avete l'occhio tanto lungo
E la mente acuta fissa su nel cielo,
Tutto saper volete a punto a punto
Quel ch'è coperto dal segreto velo;
Io dal vostro voler non mi disgiungo,
Le strane cose vostre io non querelo,
Ma credo che l'impresa sarà vana,
Che più si vuol più il vero s'allontana.

Voi volete andare sulla Luna
Con nuovo e mirabile congegno.
Io vi dico: Vi soccorra la fortuna
E il gran Dio del ciel vi dia sostegno!
Ma ricordate che qualche lacuna
Porta sempre con sé l'umano ingegno
E che cagione l'intentata via
D'ottusa uman superbia non vi sia!
               
                             








venerdì 23 marzo 2012

              Un altro mio sonetto
                   LA FOLLA

Folla è quella che al gioco del pallone
Scuote lo stadio d'urla ad un rigore,
E' quella che ascoltando una canzone
Strilla, si pigia, invoca il suo cantore;

La stessa è che ciabatta in processione
Ed implora perdono dal Signore;
E' quella stessa che in corteo si pone
Or con giubilo grande, or con furore.

Ed è la stessa che scelta ed ordinata
In reparti con bellica armatura
Alla guerra a morire è comandata

E a dare morte. Per mia e sua natura
D'essa io estraneo, quale sia, allietata,
Minacciosa o implorante ho gran paura.

giovedì 15 marzo 2012


                                                              IL SONETTO
   Tutte le cose si modificano e scompaiono nel tempo. Fuori e dentro di noi. A volte ritornano, nella sostanza, apparentemente modificate per via della forma. Secondo le oscillazioni del gusto. A volte però il gusto cambia radicalmente e travolge gli elementi nel dimenticatoio, come moduli inservibili per le nuove generazioni. Nella poesia è accaduto con la laude, col poema, con la ballata, la canzone, il sirventese, il madrigale, ecc.; componimenti caduti in disuso e svaniti nel tempo. Non sono più tornati, anche se D’Annunzio ha voluto chiamare laudi certe sue composizioni. Oltre che per le altre forme poetiche, pare che stia accadendo anche per il sonetto. Da quando per primo lo compose Iacopo da Lentini, il sonetto ha dato forma a capolavori immensi nei secoli della nostra letteratura, da Dante e Petrarca a Foscolo e a Carducci. Ed ha oltrepassato le Alpi per altri immensi capolavori. Notevolissimo. Ha compattezza per il rapporto tra l’andamento logico e quello metrico e musicale: il pensiero vi è espresso compiutamente in ogni quartina e nelle due terzine. Richiede abilità linguistica, perizia, grande padronanza stilistica. Ma è di grande efficacia poetica. Oltrepassarlo e abbandonarlo nello sfascio formale della poesia odierna sembra un delitto, una perdita incommensurabile. Ma il gusto del tempo della tecnologia sembra voglia la prosa, il dire prosastico, al più la prosa camuffata da poesia, come nella cosiddetta prosa poetica e, peggio, una liricità prosastica col metaforismo e gli accapo. Sembra che con questi due ultimi ingredienti si possano cucinare grandi ricette poetiche. Anche con pessimi cuochi. Penso che il dubbio sia lecito, anche se assoluto.

sabato 10 marzo 2012

UN MIO SONETTO


Pubblico qui un mio sonetto polemico sulla poesia odierna.
In quanto polemico può sembrare eccessivo. Quel che conta
però è il messaggio che vuole trasmettere

  Dell’arte del poeta il vero dire
      Ch’era solenne ed alto ora è dimesso,
      Prosastico s’è fatto per sfuggire
      Il timbro che di dentro v’è connesso.

      Discendere si vuole e non salire
      Per l’ardua struttura che dà accesso
     Al più elevato esprimere e sentire,
     Sicché il verso si smembra o è soppresso.

 Sull’ordine primeggia la parola
     Ora obliqua ora nitida, sul metro
     Il ritmo che suona e che non vola.

     Dal decadente a scaduto. Se questa
     E’ poesia del tempo, è solo tetro
     Il futuro che a noi si manifesta.

domenica 4 marzo 2012


                 EPIGRAMMA

                  Poesia gridata e recitativa,
                  Poesia della pagina bianca,
                  Poesia visiva e quella silente:
                  Poesia del niente.


sabato 3 marzo 2012




                                       IL VERSO E LA POESIA

    Il fiume scorre, ora impetuoso  ora calmo,  sempre comunque inarrestabile. Non valsero le intemerate del Baretti contro i “versiscioltai”. L’uso del verso sciolto fu inarrestabile come il fiume e consentì la produzione di capolavori quali “I Sepolcri” , “Il Giorno”, la traduzione dell’Iliade del Monti. Ma fu foriero del verso libero e di ogni esperimento metrico, anche di quelli più azzardati. Fu foriero della scomparsa della rima; e foriero dell’arbitrarietà della strofa, nonché del “verso non verso”. Infatti oggi, per formulare un verso basta andare a capo, cioè basta fare un “non verso”!  Non sempre è così: i più avveduti si danno da fare per inventare ritmi impossibili e stratagemmi retorici.  Ma si può ancora dire che la poesia è strutturata nella musicalità del verso?