sabato 23 novembre 2013


                                           STORNELLO
   Nell’agosto scorso pubblicai qui un mio succinto scritto sugli haiku, in cui mi riferii al nostro frammentismo novecentesco col richiamo in particolare al “M’illumino d’immenso” ungarettiano. Ma riguardo alla sinteticità o alla brevità delle composizioni poetiche ci si potrebbe agevolmente richiamare anche al nostrano e popolarissimo stornello; non appartenente alla nostra produzione classica, è vero, ma cui pure il grande Carducci volle dare una dignità letteraria sia pur limitatamente col suo:
         Fior tricolore,
        Tramontano le stelle in mezzo al mare
         E si spengono i canti entro il mio cuore.
   Infatti lo stornello è un componimento di poesia popolare, una struttura poetica usata  comunemente per il canto dagli stornellatori, in genere improvvisatori come i poeti a braccio del passato, che però cantavano in ottava rima. C’è da osservare che le caratteristiche dell’ottava consentivano una composizione distesa, narrativa, di largo respiro, per cui essa è stata utilizzata in poemi e poemetti epico-cavallereschi e di gesta; al contrario le caratteristiche dello stornello, per la sua struttura costituita da soli tre versi, consentono spiccata sinteticità espressiva, capacità di battuta e spirito di motteggio.
   Proprio il motteggio presso il popolo, specialmente romano e toscano dotati di spontanea mordacità espressiva, ha favorito la composizione estemporanea del contrasto poetico, a volte appassionatamente lirico, ma a volte anche canzonatorio, come nei cosiddetti stornelli a dispetto.
  Va sottolineato ancora la sinteticità espressiva dello stornello, resa necessaria dalla brevità essenziale della composizione.  Infatti esso  è costituito sì da tre versi ( un quinario più due endecasillabi) ma il suo contenuto è espresso nel solo distico di endecasillabi rimati in assonanza ( il primo verso, quinario, ha solo valore vocativo con il nome di un fiore ed è rimato in assonanza col secondo e in consonanza col terzo).
   Io l’ho usato in una mia breve raccolta intitolata VERSI ORTICANTI, composta da 164 stornelli ed edita da Youcanprint: ne pubblicherò dei brani qui di seguito. Però mi domando ancora: Per poterci esprimere brevemente e sinteticamente in versi può davvero essere utile ed efficace l’haiku? Davvero questo può essere alternativo alle nostre modalità originali, quali le forme del frammentismo novecentesco ed anche del popolare stornello?
   Per ora riporto qui di seguito la breve PREMESSA alla mia raccolta VERSI ORTICANTI:
                                         PREMESSA
  Per questa mia tematica satirica, ho fatto ricorso al vecchio stornello popolaresco, passando dal modo “a dispetto” a quello epigrammatico. Più semplicemente ho voluto scrivere epigrammi in forma di stornelli, in modo da unire l’efficacia e la rapidità      di una composizione brevissima  all’atmosfera  popolareggiante   di un mio linguaggio, che non vuol essere  né una lingua né un dialetto determinato, ma che, in un certo qual modo, potrebbe dirsi di tipo idiolettico.
  Qui ho raccolto complessivamente 164 stornelli,  scritti negli ultimi anni, disponendoli per quattro in ciascuna pagina. I primi tre stornelli di ogni pagina trattano di un argomento specifico, il quarto invece, quasi come un tormentone che si estende per tutta l’operetta, vuole ironizzare sull’intimismo solipsistico, sul sentimentalismo emotivo e sull’uso di metafore eccessive di troppi poeti, tesi a cogliere un ipotetico lirismo emanato dal solo artificio della parola, slegata spesso anche da quel contesto metrico che è proprio della struttura poetica.

 

 

 

lunedì 11 novembre 2013


                                    ARTE E POESIA OGGI
  •    Il materialismo borghese del nostro tempo è devastante non solo per la poesia, ma per tutte le arti in genere. Esse sono concepite come merce da buttare sul mercato, computate nel bilancio delle entrate e delle uscite, svuotandone l’intrinseco valore. La cultura stessa è sminuita  e le opere letterarie vengono messe in listino con la classifica dei libri più venduti, come qualsiasi mercanzia, non con i criteri dell’esposizione critica del gusto e della validità letteraria.  La poesia è pressoché scomparsa dall’insegnamento nelle scuole e dai libri di testo, concepiti come manuali di discipline. Per risparmiare pochi milioni in bilancio, la storia dell’arte è stata compressa ad un’ora d’insegnamento settimanale per classe, quando non è stata soppressa del tutto. Peggio è toccato alla musica. In televisione e nell’editoria trionfa però la cultura culinaria, con grande dovizia di cuochi e ricette. Rendono in guadagno e pesano nel bilancio delle entrate e delle uscite. Un ex ministro ha detto recentemente che la cultura non si mangia. Inutile un qualsiasi commento in merito. Inutile ricordare che l’uomo non vive di solo pane, cioè di sole cose materiali, e che la storia e il progresso dell’umanità non sono fatti solo di guerre e di sacchi di farina. E’ materialismo della più bell’acqua ed espressione verace della mentalità borghese.  Con i premi di medagliette e coppette anche nelle Pro Loco dei più  piccoli paesi, i politicanti del secolo scorso avevano ridotto la poesia e la pittura al rango delle gare di boccia e di briscola nelle osterie. Per esigenze di bilancio e in tempo di crisi,  ora non ci sono più medaglie né coppette né concorsi. Comunque la poesia è stata stravolta nella sua funzione, nella sua essenza, nella sua forma. Sembra che corrisponda ad un’attività di evasione del tutto personale, tra il divertimento e lo sfogo di animo in pena. E’ difficile tentarne un riorientamento e un recupero, almeno in termini della sua vera e più specifica funzione. Lo spirito borghese ha solo la prospettiva del rapporto spesa-ricavo-guadagno. La poesia e l’arte sono altro e non hanno niente a che vedere con la merce e col mercato. Bisogna tentare di navigare contro corrente; forse ancora per qualche secolo!