giovedì 17 agosto 2017

Riporto qui di seguito la PREMESSA alle LETTERE e la lettera/satira ALLA MORTE tratte dal mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI autoedito con
EDIZIONI SIMPLE
                                  PREMESSA
   Vocabolari e storiografia letteraria sono concordi: la satira trae il suo nome da un piatto di varie vivande offerto agli dei, in quanto composizione di forme e contenuti variabili, di versi e prosa, cioè da ciò che è indicato con “satura”. Un miscuglio insomma, quasi un minestrone.
    D’altra parte, però, basterebbe non trascurare quello  che scrivono gli storici dell’antichità in proposito. Si coglierebbe facilmente la discendenza della satira da una specie di danze e di canti dei romani nei primi secoli, quindi da ciò che è derivato da “satyrus”.
   Dionisio di Alicarnasso nella sua Storia di Roma arcaica (siamo nel V sec. A.C.) nel Cap. VII al punto 72.10, a proposito delle processioni, scrive: “Infatti ai danzatori armati facevano seguito i danzatori travestiti da satiri, che imitavano le danze sicinnide…..Costoro motteggiavano e imitavano i movimenti solenni, volgendoli in ridicolo”.
.  Sappiamo che questa tradizione popolare, diciamo anche plebea, giunge fino alle soglie dell’Impero, quando i legionari nei cortei trionfali di Cesare cantavano: “Ecco, ora trionfa Cesare che sottomise le Gallie e non trionfa Nicomede che mise sotto Cesare”.
  Se si raccogliessero e raccordassero i verbi “schernire, motteggiare, facevano parodie” di cui parla Dionisio in proposito, si vedrebbe bene che questi sono i verbi propri di quella che poi sarà la satira nel suo manifestarsi nella storia letteraria. Si vedrebbe bene che, muovendo dai modi espressivi di coloro che, coperti di pelli di capre, rappresentavano i satiri, poeti e scrittori dei secoli seguenti realizzeranno opere letterarie non solo con linguaggio di scherno e motteggio, ma con raffinata ironia,  sarcasmo, come con Marziale,  di critica e denuncia e ancora di linguaggio beffardo, caustico, mordace, fino anche alla violenta fustigazione morale, come con Giovenale.
   Qui, in queste mie “lettere”, io ho voluto seguire in qualche modo sia l’una che l’altra interpretazione. Di fatto ho scritto quasi un “minestrone”, cioè un miscuglio di versi di varia misura che si assommano in ciascun verso della composizione; riguardo al contenuto, al genere, però ho tentato, così come m’è venuto, di seguire lo spirito ironico, di denuncia  che scaturisce dal mio senso di amarezza, da delusione profonda nei confronti del cammino dell’uomo nella storia.
   Composizioni, che ho voluto chiamare lettere, poiché con esse retoricamente mi sono rivolto a persone vive e defunte, e, curiosamente, persino alla Morte e alla Vita. A me, però, non sembra poi tanto strano, giacché oggi non pare che ci sia tanta possibilità di comunicazione interpersonale concreta, in quanto basata su rapporti affettivi e rilevanze emozionali. Meglio parlare con i Morti, cioè con i loro libri, e meglio parlare con se stessi, fingendo di rivolgersi alla Morte e alla Vita, che parlare in modo impersonale e convenzionale sul filo dei moderni mezzi elettronici e nelle corse affannose degli affari
del nuovo sistema di vita.

         ALLA MORTE

                  Eri già tesa nel buio dei millenni
              A spiare il mio attimo di luce
              Nel miracolo arcano dell’esistere,
              Morte terrifica!
             
              La mia adolescenza ti sorprese
              Dentro di me in un angolo nascosta
              Nel tuo agguato paziente una sera;
              In me ti scopersi come a specchio concavo
              E in me fu vuoto, e orrore di conoscerti,
              Alla mia coscienza saperti inalienabile,
              Ho imparato a portarti dentro l’essere mio stesso
              Mentre il tuo ascolto dentro al mio respiro,
              Giorno per giorno, e tu conti i miei minuti
              E gelida ti scaldi al mio calore.

              Sei più ripugnante d’ogni delusione,
              Più amara d’ogni speranza perduta,
              Terribile più dell’abisso che il pensiero discopre.
Nell’implacabile odio che  non ti dà requie
              Cerchi la Vita, tu sorella nemica sua ferale,
              In ognuno di noi e t’illudi di strozzarla
              E finirla con le adunche orribili tue mani;
              Ma essa ti sfugge d’uno in altro
              E d’uno in altro fulgida fiorisce,
              Bellissima nelle recondite gioie
              Che dal mondo s’insinuano dolci nei sensi sottili.

              Tu dibatti le ali maligne, brancoli cieca e la Vita
              Insegui più immonda della iena
              Che nel deserto si sazia seguendo le tue orme,
              Prendi noi ad  uno ad uno
              Come a scatto di trappola tremenda,
              D’ira livida nella tua illusione funesta.
Ma olimpico dal cielo il sole irride
              Alla tua rabbia impotente e indicibile,
              Infinita come l’immenso.
              Ed io un ghigno, prima che mi prenda,
              Sull’orrenda tua maschera ti faccio
              Mentre tracanno un bicchiere di vino,e la Vita
              Bella, radiosa, ineffabile, godendo saluto:
              Salve o Vita imperitura,
              Ambrosia divina del cielo e della terra,
              Trionfo d’uomini, di piante e d’animali.                               
              E tu, Morte, nefanda Morte, crepa di rabbia !
                       



venerdì 11 agosto 2017

Pubblico qui di seguito  questi Bigliettini
del mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI
autoedito da SIMPLE EDIZIONI

           LA GENTE
                        
      Quando parla un sapiente,
      Delle sue parole s’imbeve la gente,
      Che le ripete con lo stesso suono,
      Ma non s’avvede mai
      Che quelle più non sono.


                     UN POETA
          
      Si lascia andare dietro alle parole
      Che vanno come aritmiche farfalle:
      Lui le trascrivi e dice
      Che ognuna d’esse è gemma trasparente.

      Ed è pur vero,
      Perché io dentro non ci trovo niente.


                             LA MORALE

       La morale, che un tempo
       Bella figliola fu della coscienza,
       Con l’aborto e la pillola
       Ora fatta è un prodotto della scienza.

                                                                                       
                UN PIAZZAIOLO

       È un di quelli che mi fan paura:
       In tempo di democrazia
       Dimenando la lingua
       Vuol sembrar leone;
       In tempo di sventura sarà cane,
       Dimenerà la coda al suo padrone.

  
            APOTEOSI

Evviva!
Evviva i poveri:                      
Con la loro miseria
Permisero ai potenti
Le magnifiche regge e i monumenti
Di cui si compiace
L’intera umanità!

Osanna!
Osanna ai poveri,
Che s’inchinarono         
Alla falsa innata nobiltà
Dei principi e dei re,
Cui concessero la gloria,
Sopportando nei secoli
Misfatti e crudeltà!

Evviva!
Evviva i poveri
Che nei  secoli vivranno
In tutte le nazioni!
Le loro privazioni
Daranno la ricchezza
Ai ricchi che verranno.

Evviva i poveri,
Perché mai essi avranno          
La propria personale dignità,
Ma si sobbarcheranno
Alle maggiori mortificazioni
A salvaguardia dell’umanità!

Evviva! Evviva i poveri
Di tutte le nazioni!


           





                                                                                



               






domenica 6 agosto 2017

Pubblico qui di seguito  quattro Bigliettini
del mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI
autoedito da SIMPLE EDIZIONI

          FREUD

      Con nuova scienza
      All’uomo spalancò l’interno abisso.
      Ora l’uomo guarda
      Dentro di sé fisso
      E nel suo fango cerca la coscienza.
            
                     CIVILTA’  MODERNA

      La popolazione
      Promossa a popolo
      Fu carne da cannone;
      Or degradata a massa
      E’ mezzo di consumo e produzione:
      E’ tutta qua
      La grande storia della
      Moderna civiltà

                     POESIA
      Poesia gridata e recitativa,
      Poesia della pagina bianca,
      Poesia visiva e quella silente:
      Poesia del niente.

                          A. B.
      Sei persona pensosa sì che a fiumi
      Dalla penna ti escono i problemi;
      Quando va al bagno, quando mangi e fumi
      Li risolvi, li mastichi, li spremi.




sabato 29 luglio 2017

Riporto qui di seguito la lettera/satira tratta dal mio
LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI autoedita con
EDIZIONI SIMPLE

            AD  ORAZIO  (Prima lettera)                                                  

Felice te, Orazio, se un solo scocciatore
Per Via Sacra t’importunò!                                                               
Tu non sai quante voci ed immagini
Pene infernali m’affliggono
E petulanti e sgualdrine
M’inseguono fin dentro la casa,
Giornalacci  che vendono menzogne,
Politici che propalano promesse
Quasi trappole e lacci per cuccioli e merli,
Pubblicità di un mare di miracoli,
Annunci per defunti sui muri che mi danzano intorno,
Quasi in una fiera di mimi sguaiati.

E che faccio? Strappo manifesti che gridano volgari,
Spengo radio, telefono, televisore
Che tutta l’aria intorno pervadono e scuotono,
Rompo cellulari che stridono garruli
Per chiacchiere inutili,
Chiudo gli occhi per non vedere,
Mi tappo le orecchie per non sentire?

Oh! Io non voglio soffocare dentro un mercato,
Dove ognuno è imbonitore di virtù fatte merce;
Se voglio raccogliermi  
A specchio di me stesso, m’impongo                  
Di non passare per un viale qualsiasi,
Né per un miserabile vicolo,
Dove corrono immagini e voci che ti cacano addosso
Siccome arpie alle isole Strofadi
E solo posso rifugiarmi dentro una stanza
Chiusa a doppi vetri.

Felice te, Orazio, per vita d’altri tempi! E me felice
Quando tra pareti domestiche
Torno a conversare sui libri con voi morti
Più vivi dei morti da vivi,
Che così tanto frastuono mi sollevano intorno!
Felice te, che almeno lasciata la Via Sacra
Potevi eludere molestie di chiacchiere e scocciatori!
Felice te che, risalendo  su per la via di Tivoli
E aggirando i Lucretili, ti rifugiavi
Nella tua Digenzia lontana da frastuoni,
Dolce di voli e canti degli uccelli!

Non io potrò trovare  riparo
Dalle oscene voci, dalle turpi immagini,
Dai trilli dei telefoni che chiamano                                    
E mi scocciano ovunque.
Altro è il mio mondo dal tuo,
Altro è il mio ceto e il mio posto
Di piccolo uomo; e certo non ho postulanti
Per favori ai più umili da chiedere ai grandi.
Ma quanti la mia cassetta postale riempiono
Di proposte, di offerte, di ciance, di promesse
Di guadagni e regali tutti gratuiti!
Quanti dal video avanzano profferte,
E dicono d’avere a cuore il bene mio e la mia felicità!
E solo invece mirano ad impinguare il loro
Deposito bancario! Tutti modi ingegnosi
E marchingegni e trappole per spellicciarmi
Giorno dopo giorno persino degli spiccioli.

O come il mondo è cambiato nei secoli
E come in fondo è restato lo stesso
Del tuo tempo, Orazio, anche se al tuo genio
Toccò Mecenate e qualche importuno per via
E a me, piccolo uomo del mio tempo,
Toccò penuria di mezzi e il vivere oscuro dei campi!
Ma ancor oggi, tu felice cantore di carmi,
Di epodi, di satire, in questo bailamme
Di ciarlatani che tessono imbrogli,
Mi sei di conforto, quantunque io non sia un poeta
E non abbia una villa in cui avere rifugio,
Né io  la protezione abbia d’un principe pro tempore.
O tu Grande mi sei di conforto nel mio giorno,
Tanto che a riso mi muove ciò che a rabbia
Così forte dentro mi sollecita!

martedì 25 luglio 2017

Pubblico qui di seguito i primi quattro Bigliettini
del mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI
autoedito da SIMPLE EDIZIONI



                 COSCIENZA
            
Abbiamo la coscienza tutti eguale,
Non più scolpita dentro noi, nel cuore,                                                                Ma scritta sulla carta
Il cui rimorso è dato
Dal codice penale.

                  RISPETTO
           
      Per rispetto dell’uomo                                                 
      Siamo giunti al rispetto per l’infame,
      Mancando di rispetto al galantuomo
                

             BUROCRATE
   
      Una firma e un timbro,
      La notificazione all’altro ufficio
      Nello stretto rispetto della norma,
      E in pace ti metti la coscienza.

      Ma quando morirà
      E l’angelo la carta avrà timbrato,
      Andrà  bussando per le vie del cielo,
      Perché nessuno gli aprirà le porte:
      Per lui l’angelo il timbro avrà sbagliato.

                                 EPITAFFIO
                                  Qui giace
                         l’Uomo Contemporaneo
                                non ebbe tempo            
                     che al produrre e al consumo                                                      
                           non rise e non cantò
                         non pianse e non narrò
                                 vecchio morì
                          senz’essersi avveduto
                 d’essere almeno per un dì vissuto
                                O viandante vai
                             non ti posar giacché
                                    costui da te
                            non meritò un saluto.
                            

sabato 22 luglio 2017

Pubblico qui di seguito i primi due "Biglietti" del mio
"LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI" autoediti dalle
Edizioni Simple.


                QUESTO  MONDO

Questo è il mondo.
Verso questo mondo
Avrei voglia di urlare  ed inveire.

Mondo in cui la gente
Corre dietro  segnacoli e vessilli,
Scanna  e si scanna
Sol che vi siano simboli e sigilli.

Mondo fatto di servi,
D’ipocriti, di furbi, di padroni,
Di ladri e di spergiuri
Protesi tutti a spremere minchioni.

Mondo balordo fatto di congreghe
Che un proprio dio si foggiano per spingere
Credule folle a stolide tragedie.

In questi miei versi questo mondo
Non posso che deridere e schernire,
Per sfogare l’interno mio furore                  
E non rodermi dentro
Urlare ed inveire.                
              

               L’UOMO

Spesso si dice che l’uomo è uomo
E che vale ben più d’una bestia.
Ed io dico che ciò è vero, giacché
Uomini-agnelli ci sono, uomini-lupi,                 
Uomini-cani ed uomini-porci,
Uomini-vermi ed uomini-iene.                                   
L’uomo è ben più di tutti gli animali,
Perché in sé tutte le bestie contiene
Ed è più bestia di cento bestie insieme.














venerdì 7 luglio 2017

 Pubblico qui di seguito altre tre composizioni tratte dal mio ebook "Cantatine e sei canzoni..." edito da Youcanprint

                  VIII
Di quella nuvola che d’oro
S’incendia all’orizzonte
Mi faccio un carro di sogni
Per vivere una notte di richiami
Ad altri tempi, allor che l’assiolo
Con i suoi chiù scandiva
Lento e dolce il placarsi degli aneliti
Alla diafana luce della luna.

Ed il corpo mio indocile
Si spossava su zolle
Di stoppie odorose e di fieno.

                    IX

Sempre mi sei presenza inalienabile
Anche ora che m’appari
Dentro i miei fantasmi
Che vanno su una nuvola sospesa
Su spume di celesti desideri.


                   X

Sarai sempre te stessa
Da me distinta altra luce, altra vita;
Sarò sempre me stesso,
Da te distinto altro fuoco, altro esistere.

E questo mi tormenta: mai saremo
Un’unica torcia che brucia nel vento,
Mai unico vento ed unica tempesta,
Unica goccia,
Unica bocca ed unico sorriso!



lunedì 1 maggio 2017

                   POSTILLA ALLA MIA COMPOSIZIONE  “NEL
                         TRENTENNALE DELLA LIBERAZIONE”
  Nel giorno della Liberazione io c’ero. Anzi io ero nella zona liberata circa  undici mesi prima, cioè nel 1944, dopo lo sfondamento della linea di Cassino e quattro giorni dopo la liberazione di Roma.
  Io, dunque, c’ero in tutto quel periodo di radicale rivoluzione storica, che va dall’otto settembre del ’43 al 25 aprile del 1945, alla proclamazione della Repubblica nel 1946, alla Costituente per cui non ero ancora in età di voto, e c’ero alla promulgazione della Costituzione  del 1 gennaio 1948.
  Io c’ero quando dopo l’otto settembre “Soffrimmo in quei giorni di sangue, /Col cuore in piena, per desiderio /Di giustizia e libertà,/ Per dignità dell’uomo”. Cioè io c’ero quando i tedeschi facevano le retate di noi giovani e i fascisti li aiutavano e davano la caccia  agli ex prigionieri alleati, che invece la popolazione nascondeva e proteggeva a rischio della vita. E lo facevamo con l’entusiasmo (col cuore in piena) e la lotta per riconquistare la nostra dignità, la nostra libertà e la giustizia perdute col fascismo.
  E sotto l’oppressione e le violenze dei tedeschi e dei fascisti, sotto i bombardamenti degli aerei alleati cominciavamo a cogliere  i nuovi ideali per un nuovo futuro che ci si apriva con la liberazione, con la fine della guerra, con la ricostruzione dopo le rovine, i lutti, le tragedie. Perciò  “Era fiamma in quei giorni / Nelle nostre canzoni la speranza, / Che in noi giovani allora erompeva/ Dal buio dei secoli,/ Quando agli occhi brama era la luce/ Dell’avvenire”.
   E proprio alla luce ( alla brama”) della speranza per un nuovo futuro (nella luce dell’avvenire) io aprii nel mio paese la sezione del Partito d’Azione e fui rappresentante in seno al CNL locale, quando ancora non avevo diciotto anni, nel settembre del 1944, cioè mentre i partigiani combattevano dietro la linea Gotica e l’esercito italiano si riorganizzava nelle retrovie (mio fratello era stato richiamato in servizio a Firenze e a Pisa, dopo aver combattuto in Russia ed essere sfuggito ai tedeschi durante l’occupazione).
   Erano tempi cruenti e dolorosi. Avevamo sofferto per i morti e le sconfitte nella guerra, avevamo sofferto per i morti nella battaglia di Monterotondo il nove settembre del ’43; avevamo sofferto per i morti nei bombardamenti e per la morte di tanti parti partigiani, come il comunista di Monterotondo Edmondo Riva, rinvenuto a Canneto con i segni delle terribili torture subite. E si soffriva per i partigiani fucilati e impiccati sugli Appennini e nell’Italia del Nord: “ Per i morti anche soffrimmo,/ Che pagavano il prezzo della fede/ Con un sorriso sull’erba cruenta”.
  Erano loro che morivano pèr gli ideali di libertà e di un mondo nuovo e più giusto.  Ma già dopo qualche anno dalla Liberazione e dalla promulgazione della nostra Costituzione cominciammo a capire che quegli stessi ideali venivano traditi, che a quegli ideali restavano fedeli solo  i martiri che per essi avevano combattuto ed affrontato la morte; e solo pochi altri dei vivi che ora ancora tentavano di affermarli democraticamente con le lotte politiche. Ed è per questo che ” Solo essi si salvarono/ Con altri pochi dei vivi:/ Il tradimento era sulla soglia del giorno/ Già dietro al primo chiarore dell’alba”.
  E dopo i primi anni del dopoguerra per primi furono traditi i principi della giustizia sociale e del diritto al lavoro. Assistemmo allora alla strage di Portella della Ginestra e al flusso dei nostri emigranti. E l’emblema dei nostri migranti nel mondo furono i cosiddetti “magliari”, cioè i venditori di maglie e altre piccole cose proprio come poi abbiamo visto da noi i cosiddetti “vocumprà” neri. Ma molti andarono a morire nelle miniere, come fu nel caso di Marcinelle in Belgio.
   E per coloro che avevano creduto e anche combattuto nella Resistenza tutto suonava come un fallimento, come un inganno e soprattutto come un insulto doloroso per coloro che erano morti combattendo: “Ora oltre le cime dei cipressi/ Nuvole irridenti ristagnano,/ Su cui appare riflesso/
Di sotto alla terra/ Il ghigno amaro dei morti impiccati.
    Ora, dopo trent’anni da quel giorno divenuto sacro nelle nostre coscienze, noi viviamo in condizioni di un benessere materiale  ambiguo per molti versi, fingiamo di non vedere e di non sentire le ingiustizie e gli inganni del nostro tempo per egoismi e compromessi con le nostre coscienze: “E noi, che camminiamo stanchi/ Dentro un obliquo benessere,/ Chiudiamo gli occhi per non vedere”E le orecchie per non sentire,”. Ma sappiamo bene di aver rinunciato dopo solo qualche anno agli ideali della Resistenza, di aver abbandonato quelle speranze per cui avevano lottato e dato la loro giovinezza e la loro vita  tanti martiri; e sappiamo, in coscienza, di essere “Colpevoli d’avere/ Per solo  un giorno sperato.




martedì 18 aprile 2017

Pubblico qui questa poesia tratta dalla mia raccolta
“Pagine dissepolte” recentemente autoedita con Youcanprint.

NEL TRENTENNALE  DELLA  LIBERAZIONE

Soffrimmo in quei giorni di sangue,
Col cuore in piena, per desiderio
Di giustizia e libertà,
per dignità dell’uomo.

Era fiamma in quei giorni
Nelle nostre canzoni la speranza,
Che in noi giovani allora erompeva
Dal buio dei secoli,
Quando agli occhi brama era la luce
Dell’avvenire.

Per i morti anche soffrimmo,
Che pagavano il prezzo della fede
Con un sorriso sull’erba cruenta.
Solo essi si salvarono
Con altri pochi dei vivi:
Il tradimento era sulla soglia del giorno
Già dietro al primo chiarore dell’alba!

Ora oltre le cime dei cipressi
Nuvole irridenti ristagnano,
Su cui appare riflesso
Di sotto alla terra
Il ghigno amaro dei morti impiccati.

E noi, che camminiamo stanchi
Dentro un obliquo benessere,
Chiudiamo gli occhi per non vedere
E le orecchie per non sentire,
Colpevoli d’avere
Per solo  un giorno sperato.