martedì 28 aprile 2015

Dal mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI edito da SIMPLE pubblico qui di seguito la Premessa a “Biglietti e Bigliettini”.    

                                                   PREMESSA

  Ho indicato con “Bigliettini” le mie composizioni più brevi e con “Biglietti” quelle un po’ più lunghe, senza però distinguerle e separarle in capitoli diversi.
  Poiché sono tutte di carattere satirico, in altro tempo le avrei dette classicamente “epigrammi”. Proprio come oltre un ventennio fa, quando ne stampai una trentina, in pochissime copie per gli amici, con il titolo di “Trenta epigrammi”.
  A leggerli allora furono davvero  pochi amici, anche perché ancora non si era diffusa Internet. Ma cambia il tempo e con esso mutano gusti e parole, anche se molte cose poi rimangono sostanzialmente le stesse.  Così oggi ho voluto chiamarli “Biglietti e bigliettini” per significare metaforicamente quegli stessi  modi poetici  storicamente definiti come epigrammi.  Senza presumere avvicinamenti a modelli classici forse inarrivabili.
   Qui mi pare anche opportuno  notare, però,  che col tempo sono caduti in disuso diversi generi di poesia, con vari suoi modi compositivi; e sono venute anche meno alcune funzioni della poesia stessa.  Certamente  per mutamenti di sensibilità culturali conseguenti al cambiamento di strumenti e codici comunicativi nel mondo contemporaneo.
   Ha scritto McLuhan che il mezzo è il messaggio. Oggi le nostre sensibilità non corrispondono più ai mezzi d’informazione, della scrittura e della poesia dei secoli scorsi. Non utilizziamo più solo il linguaggio della parola scritta. Si ricorre spesso all’efficacia del linguaggio iconico; anzi  siamo oltre la fotografia e la cinematografia del passato, siamo ai linguaggi delle tecnologie in cui sono comprese la video scrittura e la memoria digitale.
   Quale funzione può ancora oggi svolgere la poesia in un mondo caratterizzato da così rapidi cambiamenti, da linguaggi e codici così diversi da quelli del passato, specialmente dentro al mondo digitale, iconico, tecnologico?
   Il nostro è il più antipoetico dei tempi, oltre che per l’ansia della velocità dei cambiamenti,  anche perché esso è il tempo del denaro. Il poeta rischia di chiudersi nell’ascolto della sua sola interiorità e la poesia rischia di autolimitarsi alla lirica. La satira stessa oggi è confinata nelle  battute e nelle macchiette degli spettacoli,  nelle vignette dei giornali.
   Eppure non tutti dovremmo rinunciare alla satira poetica. Essa costituisce un modo espressivo che può avere ancora un suo valore, poiché nei momenti di sosta, di raccoglimento e di riflessione ci può consentire ancora una forma di autonomia di giudizio a fronte della piatta banalità del conformismo; e ci può consentire un rovesciamento dello sguardo sul mondo ancora con la forza e la speranza proprie dello spirito critico e libero dell’uomo.
   Con queste mie composizioni io non vi ho rinunciato; anzi in esse ho raccolto  l’espressione di sentimenti elaborati in rapporto ad esperienze di vita colte direttamente e indirettamente nel quotidiano del nostro tempo, tra rabbia, amarezza, sarcasmo.
   Sono composizioni in versi che ho scritto nel corso di alcuni decenni e che ho qui messo insieme in modo alquanto casuale, non avendo neanche tenuto conto né di datarle, né di disporle in ordine cronologico: soggettivamente il lettore può riferirle al tempo che gli suggerisce la sua personale sensibilità.
   Le pubblico tutte oggi in quanto la spesa editoriale non rappresenta più un sacrificio economico. Ma penso che a leggerle saranno ugualmente assai pochi.   
   Forse  anche perché oggi le composizioni satiriche non sembrano ritenute classificabili come poesia, così come lo erano ancora un secolo fa, poiché non rientrano nelle caratteristiche delimitate da un lirismo introspettivo esasperato, secondo le ultime tendenze , quasi direi secondo la “moda” di oggi.
   Forse anche perché esse non rispondono ai canoni dei gusti correnti, più proclivi alle vignette degli umoristi e alle battute dei comici, così rapide e incisive al confronto di composizioni poetiche che pur sempre richiedono  una certa riflessione per la piena comprensione del testo.
   Forse anche perché siamo in tanti a scrivere (penso che ciò sia un bene) e non molti a leggere, tra cui un certo numero solo lettori di noi stessi autori (e penso che questo sia un male).
   Lo scarso numero dei miei eventuali lettori mi consentirà di non sentirmi in colpa per averne infastiditi molti, sia per  non averlo fatto apposta, giacché questi versi  mi sono venuti da sé, per mio personale sfogo dell’animo, pur avendo io tentato di lavorarci su di lima; sia perché  io non ho spedito di fatto alcun bigliettino o biglietto a nessuno.
   Se qualcuno li leggerà sarà forse solo per puro caso e comunque per sua scelta, giacché non andrò a mostrare me e il mio libretto in una qualsiasi televisione per farmelo comprare.

   E se qualcuno li apprezzasse, in tutto o anche soltanto  in parte,  sento che in qualche modo ne sarei sinceramente compiaciuto e     gratificato.                                                                                                                                                                                                            

giovedì 16 aprile 2015

                         ARTE  POESIA  SOCIETA’

  La riflessione sui sommovimenti profondi e dirompenti dell’arte e della poesia nel primo Novecento mi pare che richieda anche opportuna attenzione ai mutamenti delle strutture sociali di quel tempo. E ciò per uno sguardo più comprensivo della complessità delle sollecitazioni all’origine dei mutamenti  non solo delle forme, ma anche  dei concetti stessi di arte e di poesia.
  Infatti, se si mette in rilievo l’influenza delle innovazioni tecnologiche e scientifiche sul cambiamento del mondo artistico e poetico, specialmente in rapporto allo sviluppo e alle applicazioni delle nuove macchine, della psicologia sperimentale e della psicoanalisi, mi pare opportuno che non sia pure da trascurare il momento storico in cui, proprio per effetto della rivoluzione industriale e  tecnologica, si configura e si manifesta la società di massa. E, di conseguenza, che non sia da trascurare l’influenza della stessa società di massa sugli stili e quasi anche sulla natura stessa dell’arte e della poesia, o, comunque, sulla manifestazione delle loro forme e sulla loro funzione.
  La vecchia società strutturata sull’economia di rendita, cioè quella clericonobiliare, aveva fatto fiorire per secoli l’arte mediante le committenze, e aveva protetto e coltivato la poesia nelle corti piccole e grandi in funzione del consolidamento del potere.
  La nuova società di massa, che nasce dal processo di industrializzazione nel corso dell’Ottocento e si fonda sull’economia d’impresa, si sviluppa e si consolida mediante il mercato. E’ evidente che il passaggio dalla società clericonobiliare a quella di massa produce  sommovimenti anche sul piano culturale e in modo specifico sull’arte e sulla poesia.
   Infatti nella nuova società di massa l’arte  non viene più sostenuta dalle committenze, sicché essa, per la sua stessa esistenza, è costretta a gettarsi in pasto al mercato.  Così l’artista sente mercificato e snaturato il prodotto della sua arte, che avverte ormai come  pari a qualsiasi altro manufatto. Sente svuotata e svilita la sua opera creativa, per cui reagisce a ciò che sente come mortificazione. Per protesta,  non crea più l’opera, ma la mutua nel campo dell’arte da ciò che è già fatto e che è posto dall’industria sul mercato, cioè “delocalizza, decontesta” . Duchamp addirittura rifiuta l’arte tradizionale che chiama “pittura retinica” e decontesta  la ruota di bicicletta e l’orinatoio, iniziando così l’arte concettuale. Poi si arriva  al confezionamento del barattolo di  “Merda d’artista” con Manzoni e al taglio della tela con Fontana.
  Insieme con l’arte, anche la poesia si destruttura specialmente col futurismo; l’una e l’altra  cercano una nuova sintassi delle  forme con cui esprimersi. Ma sia la poesia che l’arte hanno ormai rotto molti ponti con cui rimanere collegate al passato. Nella società di massa  e del mercato, l’arte è sempre più tentata dalla “provocazione” e la poesia è sempre più tentata dal suo isolamento nella metafora. In attesa che l’una e l’altra possano ritrovare un proprio equilibrio nella riscoperta dell’integrità dell’uomo anche in rapporto all’integrità del mondo della natura ed anche di quello della cultura..



domenica 12 aprile 2015

  



Pubblico qui di seguito questa poesia tratta dal mio
SCORCI edito da Vitali

                    CAMPOSANTO DEL MIO PAESE
           
            Camposanto silente del mio paese,
            Dove le ossa dei miei sepolte riposano
            E dove le mie la tomba non avranno,
            Da sempre ti ho in mente, luogo di mistero
            E di cipressi come funerei pennoni
            Protesi nell’azzurro.

            Già villa di patrizi antichissimi
            Per i cui atri ornati di colonne fastose
            Andavano matrone e festose ancelle danzavano
            Nel tedio dei ricchi, or nei ruderi sei
            Sepolcro di  poveri, posteri forse
            Di schiavi che un tempo leggero premevano
            Sulla pelle lo strigile nel bagno aulente
            Ai superbi padroni.

            Pur cambiano i tempi e ora ivi
            Le ossa di mio padre in una buca
            Di terra si macerano, perché tornino polvere
            In trionfo di vita, d’erbe fiorite e d’alberi,
            Di nidi, di canti, di voli d’uccelli
            Come egli in saggezza richiese.
            Ma lungo i viali sopra camere ornate
            D’antichi mosaici, sepolcri marmorei
            Dei nuovi arricchiti nomi e date riportano
            Illusi di vivere per sempre nel tempo,
            Per soltanto una scritta su un’urna di pietra,
            Inane custodia delle ossa fatte fragile
            Calcina nel fluire incessante del mondo.

            Così è che oltre i palazzi per i vivi
            Oggi si fanno quasi santuari le tombe per i morti;
            E i cimiteri sono città di defunti
            Che tetre avviluppano quelle alacri dei vivi.
            E’ così che il progresso che  è vanto moderno
            Gli uomini ha spinto a un luogo medesimo
            Per morire e per nascere, di dentro a una clinica,
            A un’industria di nati e a una di morti,
            A città di defunti laddove potrebbe
            Per ciascuno bastare per dopo la morte
            Un’ampolla di cenere.

            Esiguo camposanto, m’attesti tu quanto
            Con le antiche rovine e le tombe recenti
            E’ vana pretesa arrestare il volgere del tempo
            Nell’illusione atavica di vivere oltre
            Il limite estremo degli eventi che segnano
            Il principio e la fine. Così come sei
            Ti guardo commosso col trepido                                            
Occhio non più fanciullo, ma tenero ancora
            D’immagini antiche che affollano
            La memoria di suoni, delle voci di tanti
            Che conobbi e che vidi e che ora riposano                                         
            Nella tua terra  sepolti.
            Ti guardo silente, ma so che finché avrò vita
            Sarà solo il mio cuore di quelli che ho amato
            Camposanto fiorito.


mercoledì 8 aprile 2015

Dal mio SCORCI edito da Vitali:

                       PORTICCIOLO A FORMIA                                    

            Nel porticciolo i pescatori rapidi                                 
           Con gli agili modani                                         
           Rammagliano le reti                                                     
           E ritessono trame di speranze                                      
           Lise al tonfo dell’approdo.                                          

            Di gia’ si dilata il silenzio                                             
            Sulle inquiete attese del mare,                         
            Gia’ fremono sul molo                        
            Impazienti i voli dei gabbiani                                       
            E quasi impercettibile s’intende                                   
            L’eco dei richiami                                                      
            Alle onde che s’incendiano al tramonto.                      

            Sgomenta questo senso che c’illude                            
            Alla sera rivivere                                            
            L’azzurro respiro dell’alba                                         
            E l’affanno del giorno              
            Nell’ondeggiare eguale                                   
            Di questo scorcio di golfo:                                          
            E queste onde sommergono il cuore                           
            In cerchi di memorie                                                        
            Che si ampliano nel tempo
            E poi si dissolvono lievi
            Sulle ali d’un gabbiano solitario
            Che vola contro il sole all’orizzonte.