mercoledì 26 settembre 2018


Pubblico qui di seguito questa mia “lettera” tratta
dal mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI
autoeditito con YOUCANPRINT

                A   M.  Z.                                                                       

Tu gentile mi chiedi perché i miei versi non pubblico,
Giacché – tu dici - sono limpidi ed hanno
Profondo senso poetico.
                  
Sarei un ipocrita se ti dicessi che mi muove pietà
Per le vetrici argentee, per gli agili pioppi, che il cielo
Sereno svariano d’umido verde nei giorni infuocati
D’estate e di caldi colori
In quelli che illanguidisce autunno.
Infatti per così poco
Bisogno non avrei di camion di carta,
Come Moravia per le tante sue opere o peggio di treni
Che Montanelli consuma per la penna mai quieta.
Pietà degli alberi non hanno i grandi editori,
Quando i libri pubblicano che non valgono un fico,
Purché scritti siano da questo o quel giornalista,
Da un attore o gran cuoco o da un divo qualsiasi,
Da uno già noto comunque;
Pietà non ne hanno  i poeti
Quando elencano parole in schemi d’epigrafi
E dalle loro frenesie
Lambiccano inaccessibili metafore,
Senza né punti né virgole
E per poesia il tutto gabellano.

Più ancora m’indugia pudore
Di debole e tremula voce
Sommersa fra gli strepiti di mille
E mille  sedicenti poeti
Che dalle paginette gridano parole ubriache e le loro                      
Anime  isteriche in  versi insaponano stolidi; tra tanto
Gracidare confuso d’opuscoli,
Chi mi trarrebbe più in alto
Sicché udire si possa
Da dieci lettori l’ingenuo mio canto?
Non certo verrebbero i critici ad aprirmi le porte
Degli editori, poiché se costoro
Sono  troppo impegnati
Nell’industria dei nomi affermati comunque,
Quelli sono intesi a fingere d’avere trovato qualcosa
Dentro l’altrui lavoro che essi invece vi han messo.
Né io intendo darmi per stupido prurito del mio nome
Ai viscidi tentacoli protesi
Da un di quei che stampano
Per denaro sonante libercoli a gettito continuo
E intorno al collo d’illusi poeti stringono grinfie
Simile a quelle di notturni e astuti rapaci.

Quantunque onestamente
Stampando i miei versi a mie spese
Ne donassi le copie agli amici e le spedissi a quelli
Che nelle riviste contano e imbastiscono chiacchiere
Argute sulle lettere, chi ne farebbe conto?
Chi vedendole appena
Non le butterebbe fra le inutili carte          
Che nelle borse rigonfie ci porta il postino
Per la fiera di ciarle che infinocchiano  folle?
Si ciancia a bella posta di libertà dell’uomo
E delle idee, ma è solo libertà di mercato
In cui solo  chi tiene denaro può avere parola,
Solo chi ha denaro
Stringe nel pugno il potere dell’uomo        .
        
Ma io denaro non ho,
Né a lotto gioco o vinco scommesse                      
E non nutro speranze di fortune improvvise;
Ho solo desiderio di dire e di farmi ascoltare
Dalle pagine scritte. Ma essi ne han voglia?
Ma poi perché leggere dovrebbero
Un mio misero libretto
Coi miei poveri versi che a furia di lima rilucono
Appena qua e là fra ruvidi suoni
Ed aspri corrucci che da dentro mi scuotono?
Quanto a me certamente sai
Che io scrivo per me stesso,
Per dire quel che m’urge di quel che intorno accade,
Per lo sfogo di rabbia che ribolle a me ribelle dentro
Verso un mondo sconnesso che disfido,
Che guardo e nel guardarlo esplodo e allora scrivo
E nei miei versi io non veduto di me stesso rido.



mercoledì 12 settembre 2018


                           SCUOLA  A  SOQQUADRO

    Ricomincia un nuovo anno scolastico. E la verbosità giornalistica e la superficialità della cosiddetta opinione pubblica non pongono alcuna attenzione al soqquadro  della funzione primaria della scuola.
   La loro attenzione  è rivolta marginalmente alla stabilità e alla sicurezza degli edifici e molto di più al funzionamento della scuola: giorni ed orari di apertura e chiusura, giorni di vacanza, la favola perdurante dei quattro mesi di ferie per gli insegnanti e quella più risibile del loro scarso orario giornaliero di lavoro, al solito, Dio sa con quale logica,  messo a confronto con quello degli operai e dei dipendenti privati.
   Ma non vedono, la verbosità dei giornalisti e la superficialità della cosiddetta opinione pubblica, la messa a soqquadro della scuola nella sua funzione primaria ed essenziale dell’essere davvero scuola.  Non vedono che la scuola  cade a pezzi, non nei muri delle aule, negli arredi e nelle varie suppellettili, ma nella sua essenzialità, nella sua opera educativa.
   Perché l’una e l’altra vedono la scuola nelle aule, nell’edificio. Come per una fabbrica. O come per un ufficio qualsiasi. E vedono gli insegnanti non come educatori, ma come impiegati di qualsiasi genere, come semplici prestatori d’opera. Confondono l’edificio scolastico con la scuola! E non sono pochi quelli che lo fanno ad arte, per tornaconto delle loro logiche fasulle. Perché sanno bene che la funzione della scuola è quella educativa. Ma non lo dicono!
    Fanno finta di non sapere che noi  insegnanti nel dopoguerra facemmo scuola nelle stalle ripulite; e che prima ancora della guerra non furono pochi insegnanti a fare scuola itinerante o  all’aperto. Che cosa c’entrano con la scuola gli edifici e le aule, oltre alla comodità e alla sicurezza che giustamente possono offrire?
    La scuola vera sta nella sua funzione: nella funzione educativa efficiente ed efficace degli insegnanti: sta negli insegnanti. La scuola non è fatta dalle aule, ma è fatta dagli insegnanti, se liberi nella loro azione educativa (la libertà dell’insegnamento ora l’anno seppellita sotto la catasta delle normative e direttive burocratiche).
   E quella che oggi si colpisce e si mette a soqquadro è proprio la scuola educativa degli insegnanti! Si guarda alla precarietà degli edifici ma non si guarda alla demolizione continua e pervicace dell’autorità degli educatori. Perché essa è in qualche modo ostacolo alle loro strategie, giacché in queste già si notano propedeutiche prospettive per una avveniristica sostituzione degli insegnanti con la robotica. Quindi  prospettive di nuovi e perniciosi autoritarismi di coloro che in futuro saranno detentori del potere.
    Non è la scuola dell’insegnante educatore che si vuole. Ora si vuole invece un’organizzazione scolastica diretta e manovrata verticisticamente,  che esprima una sua propria funzione e indirizzi l’azione didattica dell’insegnante apparentemente ancora libera.
   Infatti l’insegnante è sempre più condizionato dall’organizzazione scolastica, ridotto ad esecutore di progetti e programmi e sempre più supervigilato dai superiori, dalle famiglie e dagli stessi allievi, che più o meno direttamente ne destabilizzano e ne erodono l’autorità educativa.
   Ultimamente, senza pudore, hanno chiamato questa scuola “la Buona Scuola”!  A una scuola che soppresse nel 1963 la scuola dell’avviamento al lavoro si è sostituita una “Buona Scuola” che mira non più precipuamente all’educazione, ma alla formazione dell’allievo per il suo inserimento nel mondo del lavoro! Cioè alla sua immissione  nel mercato del lavoro, perché vengano favorite le  classi imprenditoriale e finanziaria  nelle loro condizioni concorrenziali dentro l’attuale sistema economico. Una scuola dunque che mira non tanto più all’educazione dell’uomo, ma alla formazione del lavoratore, della cui personalità si valorizza soprattutto la dimensione di prestatore d’opera nel sistema economico.
   Cioè a quella scuola  si sostituisce una scuola che si specializza e si dirama  in non so quanti indirizzi, in non so quante sperimentazioni e in quanti pseudoprogetti per rispondere alle richieste del mercato, che sperimenta e perde le sue energie in mille iniziative psudodidattiche e affatto educative, si disperde in gite che sottraggono il tempo stabilito per legge alle lezioni in risposta a richiami economico-turistici ben esteriori ai compiti istituzionali della scuola.
   Questa è la scuola odierna, tesa a  rispondere agli interessi del mercato del lavoro:  e il colmo è  che il mercato del lavoro di oggi non sarà affatto il mercato del lavoro di domani. Cioè del tempo in cui vi si dovranno inserire gli allievi di oggi!
  Altro che scuola! Altro che “Buona Scuola”!  E’ la scuola della miseria! Anzi è la miseria della scuola!