domenica 24 giugno 2012


                                ANCORA SULLA  FUNZIONE DELLA POESIA
   Nella prima metà del secolo scorso gran parte della poesia si era espressa in una modalità solipsistica, mentre nella seconda metà pareva esplodere in mille forme di un arido sperimentalismo. Era comunque, prima e dopo, del tutto priva di una sua funzione incisiva, di un suo significato vivificante in quel momento storico, come era stato invece per la cinematografia, ad esempio, col neorealismo.
   Quantunque ridotta ai margini, la poesia non poteva essere abbandonata a se stessa. I poeti tendenziali, cioè quelli che provano ad esserlo, non erano pochi e diventavano sempre più numerosi nel momento in cui si rendevano loro accessibili sia i mezzi di comunicazione di massa che le piccole case editrici a pagamento. Potevano costituire una categoria da utilizzare in seno alla società anche per fini indirettamente politici, anche in prospettiva dell’acquisizione del consenso.
   Ne nacque un’immensa fioritura di concorsi e concorsetti poetico-letterari. Nei paesini come nei rioni. Ogni associazione, ogni circolo culturale o di categoria aveva il suo bel premio di poesia: poesia d’amore, poesia di ecologia, poesia per la mamma, poesia per la pace, ecc. E una grande fiera di coppe e coppette, di medaglie e medagliette, di diplomi e diplomucci. Col patrocinio di questa o quella autorità locale, ma anche di autorità alte, persino con  dedica di proprie medaglie.
  Era una spinta alla poesia dei sentimenti e dello sfogo dell’animo, di tentazione e tendenza al sogno di scoprirsi poeti e poetesse degni non solo di pubblicazione ma anche di corone d’alloro. Così i concorsi e le gare di poesia avevano  assunto il valore dei tornei di gioco alle bocce e dei giochi di briscola e tresette. Con tanto di coppe e medaglie; con tanto di notorietà momentanea delimitata al luogo della premiazione. Ho conosciuto poeti che avevano  collezionato lunghi e  inutili elenchi di coppe e medaglie. Era una spinta soprattutto alla diversione dagli ideali, a dedicarsi non a interessi e scopi alti e concreti, ma a falsi miti, a vedere il dito e non la luna.
   A questo livello è stata trascinata la poesia nel nostro tempo. Tra solipsismo e sperimentalismo. Tra divagazione e falsi scopi. Svuotata di ogni sua efficacia e valore. Anche come risultato di un processo di massificazione dei mezzi di comunicazione. E di svalutazione delle forme e dei codici comunicativi. Ciò ha indotto la poesia alla trascuratezza delle sue forme. Non sono valsi i concorsi e le medagliuzze a tirarla su. Anzi hanno contribuito a  violentarla perché fosse piegata a scopi estranei alla sua natura. Non ultimi gli scopi politici volgari, quelli degli acchiappavoti.
   Ma se la forma è sostanza nel diritto, nella poesia essa è consustanziale.  La poesia è la sua stessa forma; più che nel diritto. Persa la forma, si è persa anche la poesia. Anche perché si è perso pure il concetto di funzione della poesia. O se ne è avuto un travisamento, tale che ne disorienta le finalità e mina la sua stessa ragione di essere.




venerdì 8 giugno 2012


QUATTRO MIEI STORNELLI A DISPETTO(Epigrammi)
Fior de montagna,
Quelli addosso se portano la rogna;
E c’è chi se la gode e poi ce magna

Fiore de spini,
Messi alla greppia, tutti sti marpioni
Magnano piatti e ingoiano quattrini.

Fiore de bergamotto,
A quelli che se magnano anche il piatto
Diamogli quattro graffi e un pizzicotto.

Fior de campagna,
Il poeta su metafore s’impegna,
Ce soffre d’emozione e poi ce magna.