venerdì 7 giugno 2013


            RIFARE L’UOMO
                 RECUPERARE LA FORMA     
    Nel secolo scorso, il liberalismo radicale aveva disgregato l’uomo con una competitività individualistica cheera sfociata nella grande crisi finanziaria del ’29, il fascismo l’ aveva ridotto  a una marionetta col “credere obbedire combattere”, il nazismo l’aveva trasformato in un mostro col mito della purezza della razza e i campi di sterminio, la bomba atomica l’aveva sconvolto e disciolto nel terrore della fine della vita su tutto il pianeta,
   L’arte aveva rappresentato la tragicità dell’uomo di quel periodo storico con la dissoluzione della figura  nel magma dell’astrattismo informale. La poesia aveva vissuto quella stessa tragicità  con lo sperimentalismo e la dissoluzione del verso e della strofe.
   Dopo la guerra c’erano le macerie dell’anima. Occorreva ricostruire il mondo. Occorreva rimettere insieme i pezzi dell’anima. Occorreva rimettere insieme i pezzi del mondo dell’uomo e dell’uomo stesso.
   S. Quasimodo, all’atto del ricevimento del Nobel a Stoccolma (1959) pronunciò queste parole esemplari:   «Rifare l’uomo: questo il problema capitale. Per quelli che credono alla poesia come a un gioco letterario, che considerano ancora il poeta un estraneo alla vita, uno che sale di notte le scalette della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che il tempo delle “speculazioni” è finito. Rifare l’uomo, questo è l’impegno».
   Non si è esagerati se si afferma che ancora oggi molti “credono alla poesia come a un gioco letterario”. Ne è prova il  compiacimento per l’esasperato uso delle metafore, che non di rado rende persino inestricabile ed illogica l’espressione poetica.
    Si continua a salire sulla “torre per speculare il cosmo” con un ripiegamento esclusivistico e intimistico su se stessi,  in un solipsismo che preclude una visione concretamente umana del nostro mondo.
     Perché l’uomo  non può essere visto solo nella dimensione della competitività, come pretenderebbe la predominante ideologia liberalradicale.  L’uomo ha anche una sua naturale ed essenziale componente sociale; l’uomo non è solo individuo, ma è anche comunità. E la sua attività non è solo competitiva ma anche collaborativa e cooperativa dentro i molteplici rapporti della società umana. La sua visione non può essere solo quella economicistica, materialisticamente e pragmatisticamente stupida.
    Se l’artista e il poeta non ritrovano la naturale dimensione sociale dell’espressione poetica ed artistica,  non potranno recuperare né l’unità dell’uomo né l’armonia della forma. Il poeta non potrà svolgere l’impegno di rifare l’uomo, come aveva richiesto Quasimodo.
    Il problema della visione e dell’espressione dell’uomo nella sua interezza, o nella sua integralità, certamente non può essere un problema solo della poesia, del poeta, dell’arte e dell’artista; perché è un problema più generale. E’ un problema della cultura. Della società e della cultura che  hanno l’impegno di ritrovare l’uomo, la forma, l’anima dell’uomo. L’impegno di saper salvare il mondo dell’uomo dalla sua disintegrazione economicistica, dalla sua distruzione.
    Compito della poesia è ritrovare la forma. E l’anima. Al di là dal suo inaridimento materialistico, dal suo vuoto mascherato dietro gli orpelli delle figure retoriche e dell’esasperata ricerca del nuovo col suo inconcludente sperimentalismo. 
 Il solipsismo sarà sempre separatezza,  frammentazione e scomposizione. Nel poeta e tanto più nel lettore. E’ anche il lettore che condiziona nella ricerca del successo il poeta e l’artista. L’impegno del poeta, non meno che dell’artista, implicito nell’imperativo di Quasimodo, sta anche nello scuotere la poltrona dorata in cui il lettore sta quietamente adagiato.