lunedì 1 maggio 2017

                   POSTILLA ALLA MIA COMPOSIZIONE  “NEL
                         TRENTENNALE DELLA LIBERAZIONE”
  Nel giorno della Liberazione io c’ero. Anzi io ero nella zona liberata circa  undici mesi prima, cioè nel 1944, dopo lo sfondamento della linea di Cassino e quattro giorni dopo la liberazione di Roma.
  Io, dunque, c’ero in tutto quel periodo di radicale rivoluzione storica, che va dall’otto settembre del ’43 al 25 aprile del 1945, alla proclamazione della Repubblica nel 1946, alla Costituente per cui non ero ancora in età di voto, e c’ero alla promulgazione della Costituzione  del 1 gennaio 1948.
  Io c’ero quando dopo l’otto settembre “Soffrimmo in quei giorni di sangue, /Col cuore in piena, per desiderio /Di giustizia e libertà,/ Per dignità dell’uomo”. Cioè io c’ero quando i tedeschi facevano le retate di noi giovani e i fascisti li aiutavano e davano la caccia  agli ex prigionieri alleati, che invece la popolazione nascondeva e proteggeva a rischio della vita. E lo facevamo con l’entusiasmo (col cuore in piena) e la lotta per riconquistare la nostra dignità, la nostra libertà e la giustizia perdute col fascismo.
  E sotto l’oppressione e le violenze dei tedeschi e dei fascisti, sotto i bombardamenti degli aerei alleati cominciavamo a cogliere  i nuovi ideali per un nuovo futuro che ci si apriva con la liberazione, con la fine della guerra, con la ricostruzione dopo le rovine, i lutti, le tragedie. Perciò  “Era fiamma in quei giorni / Nelle nostre canzoni la speranza, / Che in noi giovani allora erompeva/ Dal buio dei secoli,/ Quando agli occhi brama era la luce/ Dell’avvenire”.
   E proprio alla luce ( alla brama”) della speranza per un nuovo futuro (nella luce dell’avvenire) io aprii nel mio paese la sezione del Partito d’Azione e fui rappresentante in seno al CNL locale, quando ancora non avevo diciotto anni, nel settembre del 1944, cioè mentre i partigiani combattevano dietro la linea Gotica e l’esercito italiano si riorganizzava nelle retrovie (mio fratello era stato richiamato in servizio a Firenze e a Pisa, dopo aver combattuto in Russia ed essere sfuggito ai tedeschi durante l’occupazione).
   Erano tempi cruenti e dolorosi. Avevamo sofferto per i morti e le sconfitte nella guerra, avevamo sofferto per i morti nella battaglia di Monterotondo il nove settembre del ’43; avevamo sofferto per i morti nei bombardamenti e per la morte di tanti parti partigiani, come il comunista di Monterotondo Edmondo Riva, rinvenuto a Canneto con i segni delle terribili torture subite. E si soffriva per i partigiani fucilati e impiccati sugli Appennini e nell’Italia del Nord: “ Per i morti anche soffrimmo,/ Che pagavano il prezzo della fede/ Con un sorriso sull’erba cruenta”.
  Erano loro che morivano pèr gli ideali di libertà e di un mondo nuovo e più giusto.  Ma già dopo qualche anno dalla Liberazione e dalla promulgazione della nostra Costituzione cominciammo a capire che quegli stessi ideali venivano traditi, che a quegli ideali restavano fedeli solo  i martiri che per essi avevano combattuto ed affrontato la morte; e solo pochi altri dei vivi che ora ancora tentavano di affermarli democraticamente con le lotte politiche. Ed è per questo che ” Solo essi si salvarono/ Con altri pochi dei vivi:/ Il tradimento era sulla soglia del giorno/ Già dietro al primo chiarore dell’alba”.
  E dopo i primi anni del dopoguerra per primi furono traditi i principi della giustizia sociale e del diritto al lavoro. Assistemmo allora alla strage di Portella della Ginestra e al flusso dei nostri emigranti. E l’emblema dei nostri migranti nel mondo furono i cosiddetti “magliari”, cioè i venditori di maglie e altre piccole cose proprio come poi abbiamo visto da noi i cosiddetti “vocumprà” neri. Ma molti andarono a morire nelle miniere, come fu nel caso di Marcinelle in Belgio.
   E per coloro che avevano creduto e anche combattuto nella Resistenza tutto suonava come un fallimento, come un inganno e soprattutto come un insulto doloroso per coloro che erano morti combattendo: “Ora oltre le cime dei cipressi/ Nuvole irridenti ristagnano,/ Su cui appare riflesso/
Di sotto alla terra/ Il ghigno amaro dei morti impiccati.
    Ora, dopo trent’anni da quel giorno divenuto sacro nelle nostre coscienze, noi viviamo in condizioni di un benessere materiale  ambiguo per molti versi, fingiamo di non vedere e di non sentire le ingiustizie e gli inganni del nostro tempo per egoismi e compromessi con le nostre coscienze: “E noi, che camminiamo stanchi/ Dentro un obliquo benessere,/ Chiudiamo gli occhi per non vedere”E le orecchie per non sentire,”. Ma sappiamo bene di aver rinunciato dopo solo qualche anno agli ideali della Resistenza, di aver abbandonato quelle speranze per cui avevano lottato e dato la loro giovinezza e la loro vita  tanti martiri; e sappiamo, in coscienza, di essere “Colpevoli d’avere/ Per solo  un giorno sperato.