POSTILLA ALLA
MIA COMPOSIZIONE “NEL
TRENTENNALE DELLA LIBERAZIONE”
Nel giorno della Liberazione io c’ero. Anzi
io ero nella zona liberata circa undici
mesi prima, cioè nel 1944, dopo lo sfondamento della linea di Cassino e quattro
giorni dopo la liberazione di Roma.
Io, dunque, c’ero in tutto quel periodo di
radicale rivoluzione storica, che va dall’otto settembre del ’43 al 25 aprile
del 1945, alla proclamazione della Repubblica nel 1946, alla Costituente per
cui non ero ancora in età di voto, e c’ero alla promulgazione della
Costituzione del 1 gennaio 1948.
Io c’ero quando dopo l’otto settembre “Soffrimmo in quei giorni di sangue, /Col
cuore in piena, per desiderio /Di giustizia e libertà,/ Per dignità dell’uomo”.
Cioè io c’ero quando i tedeschi facevano le retate di noi giovani e i
fascisti li aiutavano e davano la caccia agli ex prigionieri alleati, che invece la popolazione
nascondeva e proteggeva a rischio della vita. E lo facevamo con l’entusiasmo (col cuore in piena) e la lotta per
riconquistare la nostra dignità, la nostra libertà e la giustizia perdute col
fascismo.
E sotto l’oppressione e le violenze dei
tedeschi e dei fascisti, sotto i bombardamenti degli aerei alleati cominciavamo
a cogliere i nuovi ideali per un nuovo
futuro che ci si apriva con la liberazione, con la fine della guerra, con la
ricostruzione dopo le rovine, i lutti, le tragedie. Perciò “Era
fiamma in quei giorni / Nelle nostre canzoni la speranza, / Che in noi giovani
allora erompeva/ Dal buio dei secoli,/ Quando agli occhi brama era la luce/ Dell’avvenire”.
E proprio alla luce ( alla brama”) della speranza per un nuovo futuro (nella luce dell’avvenire) io aprii nel
mio paese la sezione del Partito d’Azione e fui rappresentante in seno al CNL
locale, quando ancora non avevo diciotto anni, nel settembre del 1944, cioè
mentre i partigiani combattevano dietro la linea Gotica e l’esercito italiano
si riorganizzava nelle retrovie (mio fratello era stato richiamato in servizio
a Firenze e a Pisa, dopo aver combattuto in Russia ed essere sfuggito ai
tedeschi durante l’occupazione).
Erano
tempi cruenti e dolorosi. Avevamo sofferto per i morti e le sconfitte nella
guerra, avevamo sofferto per i morti nella battaglia di Monterotondo il nove
settembre del ’43; avevamo sofferto per i morti nei bombardamenti e per la
morte di tanti parti partigiani, come il comunista di Monterotondo Edmondo
Riva, rinvenuto a Canneto con i segni delle terribili torture subite. E si
soffriva per i partigiani fucilati e impiccati sugli Appennini e nell’Italia
del Nord: “ Per i morti anche soffrimmo,/
Che pagavano il prezzo della fede/ Con un sorriso sull’erba cruenta”.
Erano loro che morivano pèr gli ideali
di libertà e di un mondo nuovo e più giusto.
Ma già dopo qualche anno dalla Liberazione e dalla promulgazione della
nostra Costituzione cominciammo a capire che quegli stessi ideali venivano
traditi, che a quegli ideali restavano fedeli solo i martiri che per essi avevano combattuto ed
affrontato la morte; e solo pochi altri dei vivi che ora ancora tentavano di
affermarli democraticamente con le lotte politiche. Ed è per questo che ” Solo essi si salvarono/ Con altri pochi dei
vivi:/ Il tradimento era sulla soglia del giorno/ Già dietro al primo chiarore
dell’alba”.
E dopo i primi anni del dopoguerra per primi
furono traditi i principi della giustizia sociale e del diritto al lavoro.
Assistemmo allora alla strage di Portella della Ginestra e al flusso dei nostri
emigranti. E l’emblema dei nostri migranti nel mondo furono i cosiddetti “magliari”,
cioè i venditori di maglie e altre piccole cose proprio come poi abbiamo visto
da noi i cosiddetti “vocumprà” neri. Ma molti andarono a morire nelle miniere,
come fu nel caso di Marcinelle in Belgio.
E per coloro che avevano creduto e anche
combattuto nella Resistenza tutto suonava come un fallimento, come un inganno e
soprattutto come un insulto doloroso per coloro che erano morti combattendo: “Ora oltre le cime dei cipressi/ Nuvole
irridenti ristagnano,/ Su cui appare riflesso/
Di sotto alla
terra/ Il ghigno amaro dei morti impiccati.
Ora, dopo trent’anni da quel giorno divenuto
sacro nelle nostre coscienze, noi viviamo in condizioni di un benessere materiale
ambiguo per molti versi, fingiamo di non
vedere e di non sentire le ingiustizie e gli inganni del nostro tempo per
egoismi e compromessi con le nostre coscienze: “E noi, che camminiamo stanchi/ Dentro un obliquo benessere,/ Chiudiamo gli occhi per non vedere”E le
orecchie per non sentire,”. Ma sappiamo bene di aver rinunciato dopo solo
qualche anno agli ideali della Resistenza, di aver abbandonato quelle speranze
per cui avevano lottato e dato la loro giovinezza e la loro vita tanti martiri; e sappiamo, in coscienza, di
essere “Colpevoli d’avere/ Per solo
un giorno sperato.