Questa è l'immagine della copertina del mio ebook pubblicato a cura di Youcanprint nei giorni scorsi.
venerdì 30 dicembre 2016
domenica 18 settembre 2016
ARTE ?
C’è oggi, nel campo dell’arte, una bulimia
di novità, una caccia all’originalità che ha del parossistico. Ogni elemento di
novità che si manifesta in qualche nuovo manufatto muove critici e mercanti a
valorizzarlo subito come nuovo capolavoro artistico. Purché rientri nel quadro
delle prospettive più attraenti del momento e nei meandri della complessa
sensibilità di coloro che operano nel campo specifico.
E' da un secolo che si è scatenata questa
bulimia.
Lasciamo da parte, ad esempio, il Dito medio scolpito in marmo, il cui
valore scultoreo non starebbe nella sua forma, nella luce, nell’armonia delle
parti , ma nell’idea, nel concetto, o, meglio, nella novità e quindi
nell’originalità dell’idea espressa in un linguaggio diverso e nuovo, anziché
nella banalità e volgarità del gesto.
Lasciamo da parte ogni giudizio ideologico
al riguardo, come fu quello hitleriano
di “arte degenerata”, giacché per sua natura il giudizio ideologico non potrebbe
che inquinare e alterare ogni analisi della natura artistica.
Lasciamo da parte l’ormai classica ruota di
bicicletta, cioè l’arte come presentazione del già fatto di Duchamp; lasciamo
da parte le sgocciolature, cioè l’arte come casualità spontaneistica di Pollok;
lasciamo da parte ogni altra specie di arte, da quella concettuale a quelle dei
tagli, delle estroflessioni, delle accumulazioni, dei giochi ottici, degli
impacchettamenti e di ogni altro simile elemento caratterizzato da una
cosiddetta originalità, tutte consacrate da poderose analisi critiche e le cui
opere sono collocate nei sacri spazi dei musei e nei caveau delle banche di
tutto il mondo.
Bisognerebbe
ingoiare cerebralmente tonnellate di volumi, un imponderabile e
insostenibile quantità di analisi critiche per considerare gli entusiasmi dei critici al di
là dai loro schemi logici e procedimenti
disquisitivi, per capire non solo i loro principi e riferimenti valutativi, ma
anche quelli dei collezionisti e
specialmente quelli dei cosiddetti investitori o speculatori del mercato.
Ma tutto ci riporta alla domanda
fondamentale: Che cosa s’intende per arte?
Risposta
effettivamente ardua. Ma possiamo certamente ricorrere alle nostre conoscenze
ed esperienze culturali ed avere come riferimento millenni dell’arte
occidentale intesa come rappresentazione simbolica mediante figure di persone e
cose, con cui trasmettere memorie, insegnamenti, emozioni con la massima
efficacia.
E possiamo dire allora che l’orinatoio, i
tagli, le estroflessioni, i giochi ottici, le accumulazioni, le colature di
colore, i grafismi, ecc. sono modalità
espressive del tutto diverse da quelle dell’arte che noi conosciamo, diverse da
quelle che noi indichiamo tradizionalmente come opere d’arte.
Potremmo dire allora che queste nuove
modalità espressive costituiscono un complesso di attività che si sono
sviluppate parallelamente all’arte che noi conosciamo come tale e da cui si
sono staccate per effetto dello sviluppo tecnologico e come conseguenza
dell’invenzione della macchina fotografica, del cinema, di tante altre macchine
e di nuove tecniche comunicative ed espressive.
Ma pure una domanda mi pare che si ponga come
elemento valutativo da prendere in seria considerazione e cioè se davvero possono essere qualificate come artistiche
tutte quelle opere che possono essere lette e intese come provocazione?
Allora sono provocazioni la ruota di
bicicletta , i tagli d’una tela, le combustioni, l’orinatoio, il dito medio,
il WC dorato, la casualità espressiva ,
le “performances“ ?
Ma davvero le
provocazioni sono espressioni d’arte? E questa mi pare che sia la domanda
fondamentale.
giovedì 18 agosto 2016
Dal mio POESIE PER LA SCUOLA edito da
Youcanprint pubblico qui la seguente poesia
IL
ROBOT
Mi chiamano Robot
E faccio solo ciò
Che un ingegnoso tecnico
Di far mi progettò
E mai nient’altro,
Perché non sono scaltro,
Giacché, pensate un po’,
Un cervello io non ho.
Io sono un automa
Con il corpo metallico;
Il mio cuore è magnetico,
Perché l’uomo m’ha messo,
Proprio dentro me stesso,
Un programma elettronico
E un motore che va
Con l’elettricità.
Se io fossi bionico
Soffrirei il solletico,
Sarei anche ironico
Con l’ occhio elettronico
E cipiglio sardonico,
Pure ho voce che computa
Le parole con tono
Un po’ radiofonico.
Sono un automa,
Mi chiamano Robot.
Sostituisco l’uomo
Per lavori precisi
Che fare lui non può.
E tu vedi perciò
Che l’uomo mi fa
Per l’aiuto che ha.
Il mio nome è Robot,
Sono solo una macchina,
E ora in fabbrica sto,
Poi ovunque sarò
Per lavori perfetti:
E stai certo che un giorno
Con un po’ d’artificio
Pure a te parlerò.
martedì 26 luglio 2016
Dal mio POESIE PER LA SCUOLA edito da Youcanprint
pubblico qui la seguente poesia.
pubblico qui la seguente poesia.
PANE
Pane. Pane fresco. Pane
bianco.
Pane fragrante di fuoco e di
sole.
Pane benedetto dal Signore.
Pane profumato di mani
materne,
Che sa d’antico, perenne
lavoro,
Che sa di terra fiorita e
matura,
Che sa d’amore.
Pane
che brilla
Nelle mani callose;
Pane trionfante sul desco del
povero;
Pane spezzato
Con trepido senso d’affetto,
Come meraviglia
Per bianche tovaglie di lino;
Pane d’altri tempi,
D’altri profumi e d’altri
sentimenti.
Pane facile,
Pane semplice,
Pane senza amore, buttato a
cuocere
Con gesto indifferente
Nel forno commerciale.
Pane disprezzato,
Buttato nel secchio dei
rifiuti,
Rifiutato nel benessere
Come senza valore
E antica condizione del
povero,
Con inconscio rancore
Per tempi di lungo soffrire.
Pane scuro pane duro,
Pane quotidiano, desiderato,
Agognato,
Divorato dagli occhi
Di cento e centomila bambini,
Che gridano, gridano
Forte la miseria del mondo,
Che gridano, gridano
Fin dentro le nostre città
opulente
La cattiveria del mondo,
Che butta nei rifiuti
Preziosissimo pane
Con gesto banale e
incosciente!
venerdì 15 luglio 2016
Dal mio POESIE PER LA SCUOLA edito da Youcanprint
pubblico qui la seguente poesia
pubblico qui la seguente poesia
NON UCCIDETE IL MONDO
Non uccidete il bosco,
Non uccidete i pini
Che ora dispiegano i rami
Nell’azzurro del cielo,
Ora in cima hanno
Pennacchi di nuvole!
Non uccidete
Questi albatri e questi lecci
E gli agili carpini
Dove allegre capinere nidificano,
Dove cantano i merli
E svelte le piche
Disegnano l’aria
Di colori che mutano al volo!
Non
uccidete il fiume
Che rispecchia nell’acqua
Il cielo e le nuvole
E le rondini oblique
E le vetrici verdi
Di nuovi germogli!
In viscide schiume biancastre
Non spegnete la sua voce che
nelle
Mille piccole gole di rapide
brevi
Canta lievi alle rive
Canzoni argentine!
Non offuscate la sua chiarità
Dove in trasparenze
Di limpida luce
Barbi guizzano
E cavedani lenti risalgono.!
Non
uccidete il mare che accoglie
Le verdi acque dei fiumi
E in onde le infrange
Su rive a spruzzi di perle,
Dove spigole e saraghi
Argentei nuotano in cerchi di
luce
E volano gabbiani nell’aria
che intorno
L’effluvio d’alghe diffonde e
di sale!
Non
affogate il cielo e le stelle
In cumuli di fumo
Che soffocano il canto degli
uccelli;
Non fate salire alle nuvole
Nefaste volute di polveri
Che poi discendono in piogge
venefiche
Sulle rosse cerase!
Non sperate nulla dal vento
Benefico che soffia da nord,
Che non può scambiare
Dai valichi dei monti
Le nuvole fumide di smog!
Non uccidete il fiume,
Non uccidete il mare,
Non uccidete il bosco,
Il cielo e il mondo,
Se non volete che la terra
Sia un’immensa bara per voi,
Che non avrete figli
Per piangere e pregare
Perché sulle sventure
Che incombono all’uomo
Dolce discenda
La pietà del Signore!
lunedì 11 luglio 2016
Pubblico qui di seguito la Premessa a Lettere,
ultima parte del mio LETTERE BIGLIETTI E
BIGLIETTINI
edito dalle
EDIZIONI SIMPLE
PREMESSA
Vocabolari e storiografia letteraria sono
concordi: la satira trae il suo nome da un piatto di varie vivande offerto agli
dei, in quanto composizione di forme e contenuti variabili, di versi e prosa,
cioè da ciò che è indicato con “satura”. Un miscuglio insomma, quasi un
minestrone.
D’altra parte, però, basterebbe non
trascurare quello che scrivono gli
storici dell’antichità in proposito. Si coglierebbe facilmente la discendenza
della satira da una specie di danze e di canti dei romani nei primi secoli,
quindi da ciò che è derivato da “satyrus”.
Dionisio di Alicarnasso, nella sua Storia di Roma arcaica (siamo nel V sec.
A.C.) nel Cap. VII al punto 72.10, a proposito delle processioni, scrive: “Infatti ai danzatori armati facevano seguito
i danzatori travestiti da satiri, che imitavano le danze sicinnide…..Costoro
motteggiavano e imitavano i movimenti solenni, volgendoli in ridicolo”.
. Sappiamo che questa tradizione popolare, diciamo anche plebea, giunge
fino alle soglie dell’Impero, quando i legionari nei cortei trionfali di Cesare
cantavano: “Ecco, ora trionfa Cesare che
sottomise le Gallie e non trionfa Nicomede che mise sotto Cesare”.
Se si raccogliessero e raccordassero i verbi
“schernire, motteggiare,volgere in
ridicolo” di cui parla Dionisio in proposito, si vedrebbe bene che questi
sono i verbi propri di quella che poi sarà la satira nel suo manifestarsi nella
storia letteraria. Si vedrebbe bene che, muovendo dai modi espressivi di coloro
che, coperti di pelli di capre, rappresentavano i satiri, poeti e scrittori dei
secoli seguenti realizzeranno opere letterarie non solo con linguaggio di
scherno e motteggio, ma con raffinata ironia e sarcasmo, come in Marziale, di critica e denuncia e ancora di linguaggio
beffardo, caustico, mordace, fino anche alla violenta fustigazione morale, come
in Giovenale.
Qui, in queste mie “lettere”, io ho voluto
seguire in qualche modo sia l’una che l’altra interpretazione. Di fatto ho
scritto quasi un “minestrone”, cioè un miscuglio di versi di varia misura che
si congiungono in versi più estesi nella
composizione. Riguardo al contenuto, al genere, però ho tentato, così come m’è
venuto, di seguire lo spirito ironico, di denuncia, quindi satirico, che scaturisce dal mio senso di amarezza, da
delusione profonda nei confronti del cammino dell’uomo nella storia.
Composizioni, che ho voluto chiamare
lettere, poiché con esse retoricamente mi sono rivolto a persone vive o defunte,
e, curiosamente, persino alla Morte e alla Vita. Questo, però, non dovrebbe sembrare
poi tanto strano, giacché oggi non pare
che ci sia tanta possibilità di comunicazione interpersonale concreta e basata su rapporti affettivi e rilevanze
emozionali. Meglio conversare con i Morti, cioè con i loro libri, e meglio
parlare con se stessi, fingendo di rivolgersi alla Morte e alla Vita, che
parlare in modo impersonale e convenzionale sul filo dei moderni mezzi
elettronici e nelle corse affannose degli affari nell’odierno sistema di vita.
L’Autore
domenica 5 giugno 2016
NUOVE FORME
Se all’uomo della macchina e dell’energia
elettrica l’arte dei futuristi, di Duchamp, ecc., aveva risposto col dinamismo
delle forme, con la concettualizzazione della cosa già fatta, con l’astrattismo
della visione pittorica, cioè con la frantumazione e la spazializzazione
dell’immagine, oggi, all’uomo dell’informatica, della robotica, della
nanotecnologia e della digitalizzazione del linguaggio, l’arte come sta
rispondendo?
E’ come dire: Dove va oggi l’arte? E’ possibile
ancora l’arte?
Lapalissianamente si può rispondere che
siamo tuttora circondati da una sempre più intensa produzione di opere che sono
definite generalmente come opere artistiche. Ma allora ci si può domandare in
quale senso quelle opere possano essere definite artistiche, giacché non
sembrano affatto collocabili nel quadro stilististico in continuità con la
tradizione, né esse sembrano più possedere
le funzioni dell’arte
tradizionale, checché ne dicano i critici e i teorici più qualificati.
Il dubbio è grande, perché pare lecito poter
parlare di cesura tra il prima e il dopo della tradizione, anche se molti invece
parlano di continuità con la tradizione. Resta difficile però dimostrare che,
ad esempio, un taglio di Fontana e una
scultura di Moore possano collocarsi sulla stessa linea di un Beato Angelico o
di un Canova e di un Bernini.
Se facciamo tre pupazzi impiccati ad un
albero, non penso si possa dire che ciò sia una scultura, perché è solo un’idea
materializzata in plastica gonfiata. Però si potrà pur sempre dire che quella è
arte, in quanto siamo noi stessi ad attribuirgli una forma e un messaggio
secondo la nostra intenzione. Cioè è arte solo per noi che facciamo questa
affermazione. Però c’è da chiedersi se c’è un’identica percezione in noi che
vediamo e contemporaneamente nell’artista che l’ha pensata e realizzata.
Chi può dirimere il problema? Possiamo dirlo noi che vediamo e l’artista
che ha operato? Nella questione s’inseriscono critici e galleristi, che
possono essere interessati a credere o a
farci credere ad un messaggio inerente a
quei manufatti e a dargli un valore artistico, da tradurre in valore economico
per farci affari e relativi guadagni.
Allora può sembrare che l’arte odierna non
risponda tanto ai nuovi problemi espressivi posti dalle moderne tecnologie, ma
che essa li consideri e li segua solo per la tangente per inserirsi effettivamente e drammaticamente dentro al sistema
economico finanziario, che oggi coinvolge e dirige ogni aspetto della vita dell’uomo.
In sintesi allora si può dire che anche per
l’arte si è verificato e si verifica il
processo di mercificazione per l’accumulo di denaro, non tanto per l’artista
quanto per l’acquirente che condiziona l’artista e custodisce l’opera in vista
d’un guadagno.
In questa prospettiva, la robotica e le
nanotecnologie non c’entrerebbero affatto. C’entrerebbe - eccome! – il sistema
capitalistico-finanziario che materialisticamente mercifica tutto, fino a
snaturare le idee e le tradizioni più profonde dell’espressività originaria
dell’uomo.
lunedì 16 maggio 2016
Dal mio LETTERE
BIGLIETTI E BIGLIETTINI edito
da SIMPLE (“Stampalibri” di Macerata) pubblico
qui
di seguito tre “bigliettini”
CAPITALISMO
Saltano mine, si squarciano corpi,
Che strappano le anime alle mamme
Per laceranti ed inesauste pene.
I fabbricanti brindano ai guadagni:
Semmai la colpa è solo delle azioni
Che una società anonima detiene!
MOLTI RICCHI
Il
denaro per molti è dio fatale:
Per divenire ricchi anche
all’imbroglio
Hanno
adattato l’abito mentale,
Senza coscienza e quasi con orgoglio;
Corrotti sì, ma tesi al capitale,
Hanno l’anima dentro al portafoglio
CORROTTI
Pur Giuda ebbe un residuo morale
Per impiccarsi all’albero
Della sua corruzione.
Se quel residuo avessimo
Noi per questa nostra
Corruttela globale,
Non basterebbero gli alberi
Oggi in vegetazione.
sabato 9 aprile 2016
UN’INIZIATIVA ESEMPLARE DI PIERLUIGI
CAMILLI
Nei nostri paesi e nelle nostre campagne non
ci sono più i poeti a braccio, quelli che improvvisavano e cantavano versi
ancora nella prima metà del secolo scorso e che coi loro canti allietavano il
lavoro nelle fatiche del giorno e i momenti di socializzazione e riposo nelle
osterie alla sera. Ormai appartengono al passato.
Non ci sono più per mille ragioni. Non ci
sono per effetto della diffusione della stampa e della radio, dei dischi e
della televisione, che hanno imposto l’ascolto di cantautori e di cantanti di
canzoni, con il supporto della musica, che mancava del tutto nel canto dei
poeti a braccio.
Soprattutto la scolarizzazione generalizzata
nella seconda metà del secolo scorso ha diffuso la tecnica della scrittura, con
la conseguente sostituzione della cultura orale, anche in coloro che avevano
potuto frequentare le sole scuole elementari. Sicché non sono apparsi più i
poeti a braccio, che erano quasi sempre espressione della cultura orale, ma
nella classe popolare si sono moltiplicati gli scrittori di poesie;
specialmente si sono moltiplicate le poetesse, che prima erano rarissime nel
canto a braccio, anzi da noi del tutto assenti.
Alla diffusione di questi scrittori di
poesie, nel paese di Moricone, un piccolo centro agricolo della Sabina Romana,
ha posto la sua attenzione davvero meritoria Pierluigi Camilli, un pensionato
che gestisce un suo sito intitolato “IL nuovo Grillo Parlante di Moricone”.
Camilli vi ha posto attenzione perché è sì
un pensionato, ma è anche un poeta dialettale lui stesso e, soprattutto, perché
ha una grande sensibilità culturale ed è, quel che più conta, dotato di una
spontaneità creativa sorprendente.
Ed ha preso un’iniziativa molto semplice, ma
di grande significato per una pur piccola comunità culturale come quella in cui
vive: ha proceduto a raccogliere ed a pubblicare, per ora solo sul suo sito, un
florilegio delle opere poetiche dei suoi concittadini, non solo per farle conoscere ad una comunità più vasta, ma
soprattutto per metterle a disposizione
di eventuali studiosi interessati a ricerche culturali, letterarie o sociologiche.
Chi ne ha interesse o voglia semplicemente
curiosare su questa iniziativa, non ha che da navigare su Internet e cliccare
su www.pcamilli.net.
Chi aprirà quel suo sito, potrà restare
sorpreso dall’abbondanza delle prospettive aperte dalla creatività di Pierluigi
Camilli, che non riguarda solo le sue poesie scritte in romanesco e in dialetto
moriconese, ma anche i suoi interessi che spaziano dalla micologia al dialetto,
dal teatro dialettale (ha dato anche vita al gruppo teatrale “U Mascaró) alla
revisione letterale della storia agiografica
di Suor Colomba che va pubblicando nel suo sito, e, appunto, alla raccolta antologica
delle composizioni poetiche dei suoi compaesani.
Potrà sembrare strana la concentrazione di
una decina di autori di versi in un piccolo paese com’è Moricone. Ma in questa
società solo apparentemente tanto comunicativa, non sono poche le persone che
sentono il bisogno di esprimere ciò che è nel fondo dell’animo. E qui non
voglio accennare alle poesie di Camilli,
di cui mi riservo di parlare in altra occasione, ma voglio accennare qui solo a qualche autore, Virgilio Antonelli
ed Evaristo Lebani, dei quali voglio
riportare qui di seguito due brevi poesie raccolte nel florilegio del “Grillo”.
1982
Pezzi di carta al vento
di una lettera mai scritta,
parole che non dicono
del dolore di un addio.
di una lettera mai scritta,
parole che non dicono
del dolore di un addio.
Virgilio Antonelli
Con gli Amici
“da Luna d'Estate”
Tristi,
arrivavamo alla sera,
correndo,
lungo le strade bagnate.
Piangevano gli alberi
e i lampioni
per le gocce di pioggia.
Privi d'amore,
piangevamo anche noi,
ridendo!
arrivavamo alla sera,
correndo,
lungo le strade bagnate.
Piangevano gli alberi
e i lampioni
per le gocce di pioggia.
Privi d'amore,
piangevamo anche noi,
ridendo!
Evaristo Lebani
Un’iniziativa come questa della raccolta
delle poesie di autori di un singolo paese è davvero originale, ma tanto preziosa
che ne andrebbe riconosciuto tutto il giusto merito a Pierluigi Camilli.
Non solo, essa andrebbe promossa in ogni località, anche
laddove fosse presente una Biblioteca Comunale, il cui compito istituzionale
più importante è proprio quello della raccolta, della classificazione e della
custodia della produzione culturale del
territorio in cui essa è chiamata ad operare.
Una iniziativa così ha almeno il valore di testimonianza dell’attività culturale
vissuta da coloro che generalmente non hanno voce, ma che pure contribuiscono con
la loro creazione poetica all’arricchimento della sensibilità dell’animo umano
e al potenziamento della sensibilità
comunicativa di comunità che sono tradizionalmente marginali nel mondo della
cultura.
giovedì 10 marzo 2016
FORMA ARTE
POESIA
Forma e poesia. Forma e arte. Binomi indiscutibili per secoli e per
millenni. Interdipendenti per loro natura. Nel passato la materia non aspettava
che la forma per avere una propria vita. Anche
per individuarsi in una poesia o in un’opera d’arte, secondo la
creatività di un poeta o di un artista.
E’ bastato il secolo delle macchine, delle
tecnologie, perché con il loro trionfo deflagrasse la forma.
Così la poesia ha voluto rompere la sua forma
alterando il ritmo e la lunghezza del verso secondo capricci o opportunità dei
vari stili sperimentali o meno. La metrica è stata percepita come limitativa dell’espressività
del poeta, che ha voluto rivendicare una pretesa libertà creativa anche in
questa direzione.
Così la pittura ha voluto rompere la
pienezza della forma per reclamare il
valore dei segni, la ricerca del colore, la libertà del gesto e persino il
taglio della tela, quasi come espressione di linguaggi criptici.
Ma davvero la poesia, per affermarsi ancora
come tale, può sostituire la misura e la
musicalità del verso con lo strumento della sola debordante metafora all’interno
di una zoppa e ciondolante andatura prosastica?
Ma davvero, come accade nel tempo della straripante
tecnologia, l’arte per rimanere
se stessa, senza perdere la sua particolare individuazione specifica, può
perdere la sua forma e manifestarsi come espressione di concetti più o meno pseudofilosofici
mediante segni, extraflessioni, giochi di artifici ottici o con espressione
spontaneistica della gestualità materializzata in gocce e macchie di colore quasi
come
“….quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando." ?
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando." ?
Forse si bara, quando ancora si vuole far
rientrare nei concetti di arte e di poesia ciò che non è più tale.
Forse però sono proprio quei concetti che
sotto la pressione delle nuove tecnologie sono divenuti altro nel loro
significato, pur rimanendo inalterati i significanti, perché ormai sono
profondamente altre le sensibilità dell’odierno ”uomo tecnologico”.
Insomma, forse diciamo ancora arte e poesia,
ma intendiamo cose ben diverse da quelle del passato. Cose diverse che ancora
non sappiamo definire. E ciò è un problema dai mille risvolti. Non solo
linguistico.
giovedì 3 marzo 2016
Pubblico qui la poesia Marzo tratta dal mio "POESIE PER LA SCUOLA"
edito da Youcanprint
MARZO
O Marzo,
Ti dicono pazzo
Perché il tuo viso
Fatto di cielo e di nuvole
Ora s’imbroncia,
Ora ha un sorriso.
Ma
io so che mi porti
Un cielo sereno che svaria,
Tante rondini,
Tanti fiori che sbocciano
E profumano l’aria.
Perciò ti voglio bene,
O Marzo,
E ti sorrido allegro
Come sei tu
Un po’ pazzo di gioia.lunedì 1 febbraio 2016
L’ARTE? E LA POESIA?
Per quanto avvenuto nell’arte del secolo
scorso, anche per il rapido impatto dello sviluppo tecnologico, mi pare non banale
ormai chiedersi se ciò che s’intendeva per arte fino all’Ottocento si sia poi
nel corso del Novecento modificato radicalmente in qualcosa ancora da definire
o in qual cosa di non definibile.
Infatti
non ci si è accontentati poi delle distinzioni di arte figurativa e arte
astratta, ma si è passati all’arte concettuale, all’action painting, all’optical
art, alla pop art, all’arte povera, ecc. ecc.: tutte definizioni particolari che
non hanno niente da spartire con il concetto di arte che si aveva nel passato. Sicché pare anche
opportuno chiedersi se sia possibile una sintesi di tutte queste “arti” per
avere un concetto univoco di arte così come è stato per i secoli precedenti.
C’è da notare anche che nel passato la poesia e l’arte potevano
camminare insieme, perché coincidevano in qualche misura interessi, compensi e benefici, oltre a varie
loro funzioni in comune. Infatti la
poesia era anche espressione di deferenza
se non di sottomissione ai nobili e al clero, da cui i poeti si ripromettevano
vantaggi esistenziali ed economici, specialmente con le loro dediche e con le
loro composizioni encomiastiche. Proprio parallelamente agli artisti, che erano
ricercati e ricevevano commesse dal clero e dalla nobiltà per le loro
produzioni artistiche, che diventavano mezzi di manifestazione del potere
all’interno di una società gerarchicamente strutturata.
Affatto
banale mi sembra chiedersi se parallelamente alle innovazioni dell’arte del
Novecento non si sia verificato qualcosa di simile nella poesia, cioè se almeno
non ci siano stati tentativi di reazione agli effetti dello sviluppo tecnologico, oppure se essa si sia
mossa in modo del tutto indipendente, giacché il suo linguaggio, basato sul suono
e sul ritmo della parola ha seguito un suo proprio corso del tutto diverso dal linguaggio dell’arte che invece è basato su
forma e colore.
Per una risposta che contenga elementi critici obiettivi, mi pare che il
filtro di un tempo troppo recente non
possa ancora essere sufficiente per cogliere analisi che consentano giudizi davvero
validi e significativi.
Comunque è possibile affermare che la poesia, contemporaneamente
all’arte, è stata sottoposta alle sollecitazioni di sperimentalismi esasperati non solo
formali, tali che ne hanno minato qua e là ed in vario modo la sua stessa specificità, hanno
fatto venir meno parecchie delle sue funzioni,
ormai da considerare definitivamente
superate.
Ci si può chiedere che cosa sia rimasto delle forme e delle funzioni che
caratterizzavano ancora la poesia del primo Ottocento, prima dell’espansione delle
innovazioni tecnologiche, che hanno poi modificato profondamente i rapporti
economico-culturali, cioè i vettori e gli interessi di una società sempre più
volta verso una competitività bruta, che ha come suo fondamento non il denaro
ma l’accumulazione del denaro. E le risposte non sembrano proprio facili.
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