lunedì 25 gennaio 2021

 Riporto qui di seguito questa  poesia tratta

            dalla mia raccolta SCORCI edita  da
           Vitali Editrice in Sanremo

                        ORA A TE RITORNO
        
            Ora a te ritorno, dolce mia terra,
         Quando la mano antica del padre
         A fatica distoglie gli sterpi invadenti
         E quasi più non riesce a tirar dritte le viti,
         A segare i nodosi rami degli ulivi.

         Quando da te mi allontanai,
         Quasi empio figlio da madre, non sapevo
         Che amore grande perdevo,
         Che ricchezza di vita mi lasciavo.
         Allora acre io ti sentivo e nemica
         E piansi sulle tue zolle;
         Ma tu con trifogli e cento erbe fiorite
         M’avviluppavi di profumi e di tenerezza:
         Matrigna mi sembrasti
         E madre amorosa m’eri.

         Allora io non sapevo
         Quanto in questo mondo
         Rimpicciolito nel giorno dell’uomo
         Ognuno rimane legato
         Ove aprì il cuore alla luce;
         Io non sapevo che barbe profonde
         Avessi messo in questo lembo di terra
         E non sapevo quanto
         Le mie foglie dell’anima
         Vibrassero a questo azzurro di cielo.                  
                                                                                    
            Ora so: tuo albero sono
         Che tu di linfa vitale nutrisci
         E negli uragani della vita sorreggi,
         Albero sono che spazia a questo orizzonte
         E beve assetato luce di questo sole.
         E innumeri radici ti affondo nel grembo,
         Con aeree fronde innalzo i tuoi canti
         Al tuo cielo d’uccelli fiorito.

         E bacio le tue erbe ed ecco ritrovo
         Nelle mie mani le fresche rugiade
         Delle inconsce letizie fanciulle,
         Con te gioisco memore dei giorni
         Che il tempo nel cuore sublima
         Oltre un mondo cui dolce sorrido
         Dopo gli antichi rancori                                      
         E i giovanili contrasti,
         Con te vivo e rinasco                                          
         Ad ogni mutar di stagione.


domenica 17 gennaio 2021

 

Riporto qui di seguito questa mia vecchia poesia tratta dal mio CANTATINE autoedito con Youcanprint

 

          DENTRO  DI  NOI, 

Amore, amore mio,

Fermati ad ascoltare

Se anche in te una voce dice

Cose che vengono dal cuore!

Sarai felice

Per musica d’amore sconosciuta

E riscoperta come una sorpresa

Attesa ed improvvisa.

 

Amore, amore mio,

Fuori di noi è il mondo che ci chiama

Nei voli al di sopra delle nuvole

Come sogni vissuti ad occhi aperti,

Come sul mare vanno le crociere.

 

Fuori di noi sulle strade nere

Stridono le gomme delle macchine

Alle curve;

Fuori di noi le cifre

Contano i secondi

D’un tempo senza senso;

Fuori di noi,

Fuori di noi!….

 

Dentro di noi, amore,

C’è un mondo tutto da scoprire,

Fatto di meraviglie che soltanto

Si possono sognare.


Dentro di noi,

C’è un amore

Che s’illumina nel tempo

Per sentimenti che vivono nel cuore;

Dentro di noi c’è luce per la vita,

 

mercoledì 6 gennaio 2021

 Riporto qui di seguito gli Epitaffi tratti dal mio
LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI autoedito
con Youcanprint                     
 
                                 EPITAFFIO
  
                                    Qui giace
                         l’Uomo Contemporaneo
                                non ebbe tempo            
                     che al produrre e al consumo                                                      
                           non rise e non cantò
                         non pianse e non narrò
                                 vecchio morì
                          senz’essersi avveduto
                 d’essere almeno per un dì vissuto
                                O viandante vai
                             non ti posar giacché
                                    costui da te
                            non meritò un saluto.
                           
                                    
 
                                 II°  EPITAFFIO
             
                             Il poeta odierno
                                      giace
                                  qui morto
                         la sua anima all’inferno
                 è condannata a zoppicar su sillabe
                          del suo verso distorto
                              e quando riposa
                             a starsene in bilico
                             su pessima prosa
 
        
                              EPICEDIO  PER  LA
                      FIERA   LETTERARIA
                                                  
Di certo Fracchia te non riconosceva
Più sua figlia, e il suo teschio gelido
Nel cimitero non avrà  socchiuso
Solo un’occhiaia per l’ultima tua morte.
Ma l’Angioletti non so che crepacuore
Avrà sofferto dentro la sua tomba
Nel conoscerti in pessima salute,
Sapere poi la funesta notizia.
 
Dramma fu il tuo tendere a serbare
Stile e decoro, non cedere alle voglie
D’ibrido secolo dedito a consumistiche
Orge d’affari:  pur sempre i compromessi
Male procurano a chi ebbe per natura
Animo e slancio a pro della cultura.
 
Adesso il bell’inserto Tuttolibri,
Per te, dentro lo spirito del tempo,
Non lista a margine ipocrita lutto,
Ma dalle edicole ilare espone
Classifiche di libri più venduti
Come salumi, e occhieggia dalle mani
Del pescivendolo che v’avvolge cefali,
Saraghi e minutaglia per frittura.
 
                   

venerdì 1 gennaio 2021

 

                        MORGANTE  E  IL.. .COVIS

  Il Pulci era un toscano e, come più o meno tutti i toscani, si esprime nel suo poema “Il Morgante” con tutto il suo spirito arguto e insieme ridanciano. E proprio coerentemente col suo spiritaccio, il Pulci scrive l’opposto di quanto gli era stato chiesto dalla Tornabuoni, madre del Magnifico, suo protettore: non il poema esaltante le gesta del cristianissimo Carlo Magno, e non tanto quello delle avventure fantasiose e mirabolanti dei paladini, quanto quello delle avventure ribaldesche dei due giganti, cioè  il mezzo gigante Margutte alto solo quattro metri, e il gigante Morgante, da cui prende il titolo l’opera, alto otto metri e armato di un batacchio di campana.

  Nella lettura delle sue ottave ci si diverte con la figura di Morgante accompagnato da Margutte, ma viene anche da riflettere sul  perché il Pulci ha voluto introdurre un personaggio così grottesco nel suo poema. Banalmente si potrebbe paragonare la sua funzione narrativa con quella dell’orco nelle favole: qui per meravigliare e simboleggiare la malvagità e i pericoli nella vita, nel poema per divertire, per rompere la noia della vita di corte con una risata. Un’opinione che potrebbe essere plausibile, ma che non mi pare soddisfacente.

  Troppo fine mi pare al riguardo l’intelligenza del Pulci e troppo prorompente la sua fantasia creativa e immaginativa. E soprattutto  troppo forte la sua capacità d’ironia, troppo straripante il suo fervido spirito burlesco da vero e puro toscano. Mi pare invece che la figura del gigante Morgante sia una metafora, così come appare il popolo  nel sonetto “L’uomo” di Campanella e mi pare anche il gobbo di “Notre Dame de Paris”  di Hugo.

  E posta la cosa in questa prospettiva, mi colpisce soprattutto l’episodio della sua morte; o meglio la metafora della sua morte: un gigante di otto metri e armato di un batacchio di campana che muore per il morso di un granchiolino! Così al confronto mi viene in mente la morte dell’uomo per un infinitamente piccolo essere, appunto un microscopico virus,  come l’odierno Covis 19, o come i micidiali bacilli e batteri della tisi, del vaiolo, della poliomielite appena sconfitti nel recente passato!

  Allora, nel Quattrocento, il Pulci non si sarebbe potuto immaginare l’esistenza di qualsivoglia batterio o bacillo e tanto meno quella dei micidiali virus, osservabili soltanto con i più potenti e recenti microscopi elettronici. E perciò il Pulci fa morire nella metafora dell’uomo il gigantesco Morgante con un morso di un minuscolo granchiolino, con un rapporto di grandezza tra i due che  potrebbe essere espresso da un numero grandissimo: quanti granchiolini ci vorrebbero per pareggiare la grandiosità di un gigante alto otto metri?

  Ma il gigante Morgante non potrebbe essere la metafora dell’uomo e del popolo, così come il popolo è identificato con un gigante  nel sonetto campanelliano? Allora potremmo dire che la superbia di potenza e di grandezza dell’uomo e del popolo  viene derisa e messa  in ridicolo non solo dalla morte per un morso di granchiolino come nel quattrocentesco Morgante, ma tanto più oggi con la morte ad opera del Covis 19 d’infinitesima e microscopica piccolezza.