sabato 21 giugno 2014

                                      POESIA  LIRICA
  La poesia lirica è il genere inteso ad esprimere sentimenti ed emozioni del poeta, la cui arte è tanto più alta ed efficace quanto più le sue forme di scrittura  hanno il potere di riecheggiare i contenuti nell’animo del lettore,  suscitandone sensazioni ed emozioni, scuotendone la  profonda e complessa interiorità, arricchendone l’esperienza intellettuale.
  Essa percorre tutta la storia della letteratura occidentale sin dai tempi di Archiloco e Saffo, rinnovandosi nelle forme e nei contenuti in corrispondenza al modificarsi delle tendenze e del gusto.
  Ciò che mi appare meraviglioso è il fatto che,  come altri nei secoli trascorsi, oggi noi ci emozioniamo profondamente alla lettura delle liriche più antiche, vecchie anche di millenni, quasi fossero sgorgate dallo spirito e dai sentimenti di poeti del nostro tempo. E in ciò  sta  la validità dell’universalità di quelle composizioni poetiche, che pure sono espressioni di tendenze diverse, di tempi e stili diversi, come quelle dei “Poetae novi” con Catullo, come quelle dei poeti del “Dolce stil novo” con Dante.
  Nelle condizioni in cui oggi viviamo, pare che quello della poesia lirica sia l’unico genere rimasto ai poeti ed ai loro lettori. Pare che non vi siano  più né spazi né margini per altri generi, quali il didascalico, l’epico, il popolare e tantomeno l’encomiastico. In questo nostro tempo così antipoetico, sembra che al poeta non sia rimasta altra possibilità che ripiegarsi sul proprio io per estrarsi l’anima e mostrarla a se stesso e ai lettori nella lacerante condizione esistenziale, nella sua solitudine e nell’affannosa ricerca di un suo rapporto solipsistico con l’universo e  l’infinito.
  Nell’affermazione di un lirismo essenziale e depurato dalle scorie di ogni altro genere poetico, il poeta odierno ha svuotato e annientato anche la forma; ha ridotto la forma alla parola, al suono della parola vuota come una conchiglia, al senso della parola purificata come in un lavacro e conseguentemente cristallizzata in una luce senza più senso, perduta nell’eccesso della metafora, inseguendo immagini così ardite da diventare quasi inconsistenti, evanescenti e inafferrabili.
  Nella lirica egli ha sperimentato nuove forme senza più forma: non più il carme, né l’ode, né la canzone e addirittura non più il sonetto, che per secoli pure è stato la forma perfetta della poesia lirica, hanno fornito una trama per la sua espressività; neanche più il verso: né l’endecasillabo, né il settenario, né il novenario, e tantomeno la rima che è stata bandita quasi del tutto, hanno più soddisfatto l’esigenza di un ordito preciso e appropriato su cui tessere l’espressione poetica come la musica sul rigo musicale.
  Il poeta si è voluto sentire sciolto e disciolto dal suono obbligato della rima, libero nel verso ritmico e ancor più nel verso libero; libero nel capriccio di stacchi di scrittura che non sono più strofe,  nel mescolare versi irregolari e regolari, qua e là con assonanze e consonanze, in un discorso poetico che potrebbe spesso assomigliare a un trenino a vapore che sbuffa e singhiozza in deragliamento su binari spezzati.
  Per contro il poeta si è buttato voracemente sulla metafora, facendone il vessillo di una nuova poesia. Una metafora fuori dall’usuale misura, esagerata, certamente lontana da quella dei marinisti, ma anche ad essa vicina  in qualche modo, proprio per l’esagerazione, l’esasperazione, l’azzardo oltre il limite delle forme. Si è buttato ad inseguire la propria interiorità con immagini stralunate che si rincorrono in un dire il cui senso tende a svanire nelle nebbie di parole tessute come al gioco dei dadi o dell’oca, ed in cui pare che la mente si prenda gioco di se stessa.
  Con quale funzione? La poesia lirica dei grandi, di Archiloco, di Saffo, di Catullo, di Dante, di Leopardi, esprime le emozioni e i sentimenti provati e vissuti nell’esperienza individuale, nel loro cuore, scrutandone i più significativi recessi, evocando la profondità del loro animo: ingentilivano però lo spirito ferino dei lettori e lo rendevano più nobile e più umano, elevandolo a ben più alte  visioni del mondo e a ben più alti ideali di vita. Una funzione, la loro, che non si è perduta neanche per un istante nei millenni, perché ancora oggi i loro versi riecheggiano nella nostra coscienza in tutta la loro totalità espressiva di senso, di suono, di emozione dell’animo.
  Al contrario, la poesia odierna si concentra sull’estetica della parola e con essa cerca di evocare la sensibilità estetica del lettore. Ma non va oltre  e si fa arida, sicché, isolata e solipsistica, è vox clamantis in deserto: l’uomo contemporaneo non si fa suo lettore, perché con essa non riesce a stabilire un vero e profondo rapporto; ognuno di essi, il poeta e il lettore, sta per suo conto, ed ambedue restano due monadi senza finestre comunicative. Il poeta scrive ma il lettore non legge; al più s’incuriosisce, poi depone il libro, lo dimentica e non lo riapre più. Da ciò nasce la mancanza di ogni interesse degli editori contemporanei per le opere di poesia.
  Forse all’origine di questo distacco, di questa separazione comunicativa, tra poeta e lettore,  c’è il sentimento del nostro tempo sempre più tecnologico. Però che cosa fa il poeta per interpretare lo spirito del tempo e superare l’isolamento in cui la sua voce inaridisce in un’eco che si rinchiude nel guscio di un estetismo narcisistico?

  Quale funzione egli svolge nel nostro momento storico così drammatico, perché l’uomo riprenda a comunicare sentimenti ed emozioni e non si chiuda nel silenzio del deserto di una  folla moltiplicata nelle concentrazioni delle megalopoli? Quale può essere il suo compito in mezzo alla folla iperattiva e resa folle da una competitività sempre più sorda e cieca, quando  l’uomo comunica sempre più solo nella freddezza di un mondo virtuale e la nostra realtà concreta  svapora senza più consistenza nelle interconnessioni della rete? Quale funzione ancora potrà svolgere la poesia lirica o semplicemente la poesia nel tempo della comunicazione del linguaggio informatico? Anzi sarebbe ancora possibile una poesia, se si perdessero  le sue forme e i suoi contenuti espressi nel passato, anche per effetto delle scritture nella rete?