Riporto qui di seguito un brano tratto dal mio libro POESIA E FORMA autoedito con Youcanprint.
RECUPERARE LA FORMA, RIFARE L’UOMO.
Nel secolo scorso, il liberalismo
radicale aveva disgregato l’uomo con una competitività individualistica che era
sfociata nella grande crisi finanziaria del ’29, il fascismo l’ aveva
ridotto a una marionetta col “credere
obbedire combattere”, il nazismo l’aveva trasformato in un mostro col mito
della purezza della razza e i campi di sterminio, la bomba atomica l’aveva
sconvolto e disciolto nel terrore della fine della vita su tutto il pianeta,
L’arte aveva rappresentato la
tragicità dell’uomo di quel periodo storico con la dissoluzione della
figura nel magma dell’astrattismo
informale. La poesia aveva vissuto quella stessa tragicità con lo sperimentalismo e la dissoluzione del
verso e della strofe.
Dopo la guerra c’erano le macerie
dell’anima. Occorreva ricostruire il mondo. Occorreva rimettere insieme i pezzi
dell’anima. Occorreva rimettere insieme i pezzi del mondo dell’uomo e dell’uomo
stesso.
S. Quasimodo, all’atto del
ricevimento del Nobel a Stoccolma (1959) pronunciò queste parole
esemplari: «Rifare l’uomo: questo il problema
capitale. Per quelli che credono alla poesia come a un gioco letterario, che
considerano ancora il poeta un estraneo alla vita, uno che sale di notte le
scalette della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che il tempo delle
“speculazioni” è finito. Rifare l’uomo, questo è l’impegno».
Non si è esagerati se si afferma
che ancora oggi molti “credono alla poesia come a un
gioco letterario”. Ne è prova il
compiacimento per l’esasperato uso delle metafore, che non di rado rende
persino inestricabile ed illogica l’espressione poetica.
Si continua a salire sulla “torre
per speculare il cosmo” con un ripiegamento esclusivistico e
intimistico su se stessi. D’altra parte l’uomo
non può essere visto solo nella dimensione della competitività, come
pretenderebbe la predominante ideologia liberal-radicale. L’uomo ha anche una
sua naturale ed essenziale componente sociale; l’uomo non è solo individuo, ma
è anche comunità. E la sua attività non è solo competitiva ma anche
collaborativa e cooperativa dentro i molteplici rapporti della società umana.
La sua visione non può essere solo quella competitiva ed economicistica. materialisticamente e pragmatisticamente stupida.
Se l’artista e il poeta non
ritrovano la naturale dimensione sociale dell’espressione poetica ed
artistica, non potranno recuperare né
l’unità dell’uomo né l’armonia della forma. Il poeta non potrà svolgere l’impegno
di rifare l’uomo, come aveva richiesto Quasimodo.
Il problema della visione e
dell’espressione dell’uomo nella sua interezza, o nella sua integralità,
certamente non può essere un problema solo della poesia, del poeta, dell’arte e
dell’artista; perché è un problema più generale. E’ un problema della cultura.
Della società e della cultura che hanno
l’impegno di ritrovare l’uomo, la forma, l’anima dell’uomo. L’impegno di saper
salvare il mondo dell’uomo dalla sua disintegrazione economicistica, dalla sua
distruzione.
Compito della poesia è ritrovare
la forma. E l’anima. Al di là dal suo inaridimento materialistico, dal suo
vuoto mascherato dietro gli orpelli delle figure retoriche e dell’esasperata
ricerca del nuovo col suo inconcludente sperimentalismo.
Il solipsismo sarà sempre separatezza, frammentazione e scomposizione. Nel poeta e
tanto più nel lettore. E’ anche il lettore che condiziona nella ricerca del
successo il poeta e l’artista. L’impegno del poeta, non meno che dell’artista,
implicito nell’imperativo di Quasimodo, sta anche nello scuotere la poltrona
dorata in cui il lettore sta quietamente adagiato.