mercoledì 18 novembre 2015

                                          DUCHAMP  E ALTRO

  Quando Duchamp mise i baffi alla Gioconda e fece diventare opere d’arte  la ruota di bicicletta, lo scolabottiglie e l’orinatoio, già Marinetti aveva scombussolato non solo l’arte ma anche il verso e il linguaggio poetico.
   In verità la tecnica, prima con la fotografia e poi col motore a scoppio applicato alle macchine e poi ancora con i vari impieghi dell’ elettricità, aveva già modificato profondamente il mondo dell’uomo e, quindi, già messo in crisi non solo le modalità espressive ma anche la stessa creazione artistica, che non poteva più restare nella linea della tradizione.
  Però attribuire a un unico orinatoio, indifferenziato da altri milioni di orinatoi prodotti industrialmente per materia, forma e colore, il valore artistico, storico, economico proprio di una vera opera d’arte sembrava, e sembra tuttora, fuori dalla logica normale e dalla stessa normalità concettuale.
   In fondo si trattava della sostituzione del fare col già fatto; con la differenza di privare l’oggetto della sua funzionalità pratica e di attribuirgli un valore che prima non aveva: dare a un insignificante un significato di cui prima era privo e che sembrava, e tuttora sembra, semplicemente assurdo.
  Tanto hanno potuto l’inventiva, la tecnica e il mercato!
   E la poesia? La poesia, nello stesso tempo, apparentemente non avrebbe dovuto subire incidenze simili a quelle subite dall’arte per il rapido sviluppo delle nuove tecniche. Ma solo apparentemente.
  In effetti, come avevano intuito Marinetti e i futuristi, anche la  poesia era costretta a subire le sollecitazioni della tecnica, che imponeva nuovi modi di pensare e nuovi modi di esprimere, per nuovi modi di agire in un mondo che si andava facendo tutto diverso da quello della tradizione.
  Era l’uomo nella sua interezza che era costretto ad adeguarsi alle condizioni di un mondo modificato dalla tecnica, specialmente con nuovi linguaggi, come strumenti ed espressioni più rispondenti alla velocità delle macchine che si diffondevano in ogni campo dell’attività umana.
  Ed è non solo a questa velocità che la poesia per sua natura non può adeguarsi, ma anche al debordare delle nuove terminologie tecnologiche, tutte realistiche e precise nelle definizione che essa non è in grado di piegare a funzioni espressive proprie, cioè al linguaggio dei sentimenti, delle evocazioni e delle emozioni.
 Resta perciò ancora da domandarsi: in che senso quella di Duchamp è ancora arte? In che senso ancora è possibile la poesia?