DUCHAMP E ALTRO
Quando Duchamp mise i baffi alla Gioconda e fece diventare opere
d’arte la ruota di bicicletta, lo
scolabottiglie e l’orinatoio, già Marinetti aveva scombussolato non solo l’arte
ma anche il verso e il linguaggio poetico.
In verità la tecnica, prima con la fotografia e poi col motore a scoppio
applicato alle macchine e poi ancora con i vari impieghi dell’ elettricità,
aveva già modificato profondamente il mondo dell’uomo e, quindi, già messo in
crisi non solo le modalità espressive ma anche la stessa creazione artistica,
che non poteva più restare nella linea della tradizione.
Però attribuire a un unico orinatoio,
indifferenziato da altri milioni di orinatoi prodotti industrialmente per
materia, forma e colore, il valore artistico, storico, economico proprio di una
vera opera d’arte sembrava, e sembra tuttora, fuori dalla logica normale e
dalla stessa normalità concettuale.
In fondo si trattava della sostituzione del fare col già fatto; con la
differenza di privare l’oggetto della sua funzionalità pratica e di attribuirgli
un valore che prima non aveva: dare a un insignificante un significato di cui
prima era privo e che sembrava, e tuttora sembra, semplicemente assurdo.
Tanto hanno potuto l’inventiva, la tecnica e il mercato!
E la poesia? La poesia, nello stesso tempo, apparentemente non avrebbe
dovuto subire incidenze simili a quelle subite dall’arte per il rapido sviluppo
delle nuove tecniche. Ma solo apparentemente.
In effetti, come avevano intuito Marinetti e i futuristi, anche la poesia era costretta a subire le
sollecitazioni della tecnica, che imponeva nuovi modi di pensare e nuovi modi
di esprimere, per nuovi modi di agire in un mondo che si andava facendo tutto
diverso da quello della tradizione.
Era l’uomo nella sua interezza che era costretto ad adeguarsi alle
condizioni di un mondo modificato dalla tecnica, specialmente con nuovi
linguaggi, come strumenti ed espressioni più rispondenti alla velocità delle
macchine che si diffondevano in ogni campo dell’attività umana.
Ed è non solo a questa velocità che la poesia
per sua natura non può adeguarsi, ma anche al debordare delle nuove
terminologie tecnologiche, tutte realistiche e precise nelle definizione che
essa non è in grado di piegare a funzioni espressive proprie, cioè al
linguaggio dei sentimenti, delle evocazioni e delle emozioni.
Resta perciò ancora da domandarsi: in che
senso quella di Duchamp è ancora arte? In che senso ancora è possibile la
poesia?