POESIA
LIRICA
La poesia lirica è il genere inteso ad
esprimere sentimenti ed emozioni del poeta, la cui arte è tanto più alta ed
efficace quanto più le sue forme di scrittura
hanno il potere di riecheggiare i contenuti nell’animo del lettore, suscitandone sensazioni ed emozioni, scuotendone
la profonda e complessa interiorità,
arricchendone l’esperienza intellettuale.
Essa percorre tutta la storia della
letteratura occidentale sin dai tempi di Archiloco e Saffo, rinnovandosi nelle
forme e nei contenuti in corrispondenza al modificarsi delle tendenze e del
gusto.
Ciò che mi appare meraviglioso è il fatto che, come altri nei secoli trascorsi, oggi noi ci
emozioniamo profondamente alla lettura delle liriche più antiche, vecchie anche
di millenni, quasi fossero sgorgate dallo spirito e dai sentimenti di poeti del
nostro tempo. E in ciò sta la validità dell’universalità di quelle
composizioni poetiche, che pure sono espressioni di tendenze diverse, di tempi e
stili diversi, come quelle dei “Poetae novi” con Catullo, come quelle dei poeti
del “Dolce stil novo” con Dante.
Nelle condizioni in cui oggi viviamo, pare
che quello della poesia lirica sia l’unico genere rimasto ai poeti ed ai loro
lettori. Pare che non vi siano più né spazi
né margini per altri generi, quali il didascalico, l’epico, il popolare e
tantomeno l’encomiastico. In questo nostro tempo così antipoetico, sembra che
al poeta non sia rimasta altra possibilità che ripiegarsi sul proprio io per
estrarsi l’anima e mostrarla a se stesso e ai lettori nella lacerante
condizione esistenziale, nella sua solitudine e nell’affannosa ricerca di un suo
rapporto solipsistico con l’universo e
l’infinito.
Nell’affermazione di un lirismo essenziale e depurato
dalle scorie di ogni altro genere poetico, il poeta odierno ha svuotato e
annientato anche la forma; ha ridotto la forma alla parola, al suono della
parola vuota come una conchiglia, al senso della parola purificata come in un
lavacro e conseguentemente cristallizzata in una luce senza più senso, perduta
nell’eccesso della metafora, inseguendo immagini così ardite da diventare quasi
inconsistenti, evanescenti e inafferrabili.
Nella lirica egli ha sperimentato nuove forme
senza più forma: non più il carme, né l’ode, né la canzone e addirittura non
più il sonetto, che per secoli pure è stato la forma perfetta della poesia
lirica, hanno fornito una trama per la sua espressività; neanche più il verso:
né l’endecasillabo, né il settenario, né il novenario, e tantomeno la rima che
è stata bandita quasi del tutto, hanno più soddisfatto l’esigenza di un ordito preciso
e appropriato su cui tessere l’espressione poetica come la musica sul rigo
musicale.
Il poeta si è voluto sentire sciolto e
disciolto dal suono obbligato della rima, libero nel verso ritmico e ancor più nel
verso libero; libero nel capriccio di stacchi di scrittura che non sono più
strofe, nel mescolare versi irregolari e
regolari, qua e là con assonanze e consonanze, in un discorso poetico che potrebbe
spesso assomigliare a un trenino a vapore che sbuffa e singhiozza in
deragliamento su binari spezzati.
Per contro il poeta si è buttato voracemente
sulla metafora, facendone il vessillo di una nuova poesia. Una metafora fuori
dall’usuale misura, esagerata, certamente lontana da quella dei marinisti, ma
anche ad essa vicina in qualche modo,
proprio per l’esagerazione, l’esasperazione, l’azzardo oltre il limite delle
forme. Si è buttato ad inseguire la propria interiorità con immagini stralunate
che si rincorrono in un dire il cui senso tende a svanire nelle nebbie di
parole tessute come al gioco dei dadi o dell’oca, ed in cui pare che la mente
si prenda gioco di se stessa.
Con quale funzione? La poesia lirica dei
grandi, di Archiloco, di Saffo, di Catullo, di Dante, di Leopardi, esprime le
emozioni e i sentimenti provati e vissuti nell’esperienza individuale, nel loro
cuore, scrutandone i più significativi recessi, evocando la profondità del loro
animo: ingentilivano però lo spirito ferino dei lettori e lo rendevano più
nobile e più umano, elevandolo a ben più alte visioni del mondo e a ben più alti ideali di
vita. Una funzione, la loro, che non si è perduta neanche per un istante nei
millenni, perché ancora oggi i loro versi riecheggiano nella nostra coscienza in
tutta la loro totalità espressiva di senso, di suono, di emozione dell’animo.
Al contrario, la poesia odierna si concentra
sull’estetica della parola e con essa cerca di evocare la sensibilità estetica
del lettore. Ma non va oltre e si fa
arida, sicché, isolata e solipsistica, è vox clamantis in deserto: l’uomo
contemporaneo non si fa suo lettore, perché con essa non riesce a stabilire un
vero e profondo rapporto; ognuno di essi, il poeta e il lettore, sta per suo
conto, ed ambedue restano due monadi senza finestre comunicative. Il poeta
scrive ma il lettore non legge; al più s’incuriosisce, poi depone il libro, lo
dimentica e non lo riapre più. Da ciò nasce la mancanza di ogni interesse degli
editori contemporanei per le opere di poesia.
Forse all’origine di questo distacco, di
questa separazione comunicativa, tra poeta e lettore, c’è il sentimento del nostro tempo sempre più
tecnologico. Però che cosa fa il poeta per interpretare lo spirito del tempo e
superare l’isolamento in cui la sua voce inaridisce in un’eco che si rinchiude
nel guscio di un estetismo narcisistico?
Quale funzione egli svolge nel nostro momento
storico così drammatico, perché l’uomo riprenda a comunicare sentimenti ed
emozioni e non si chiuda nel silenzio del deserto di una folla moltiplicata nelle concentrazioni delle
megalopoli? Quale può essere il suo compito in mezzo alla folla iperattiva e resa
folle da una competitività sempre più sorda
e cieca, quando l’uomo comunica sempre
più solo nella freddezza di un mondo virtuale e la nostra realtà concreta svapora senza più consistenza nelle
interconnessioni della rete? Quale funzione ancora potrà svolgere la poesia
lirica o semplicemente la poesia nel tempo della comunicazione del linguaggio
informatico? Anzi sarebbe ancora possibile una poesia, se si perdessero le sue forme e i suoi contenuti espressi nel
passato, anche per effetto delle scritture nella rete?