Ultimi tre sonetti di "Linguaggi" del mio
VERSI SATIRICI edito da Booksprint.
V
Ma che! Te dicono cross, poi ancora
Dicono targhet, tichet inframmessi
A vari gossip messi alla bonora,
Sicché a capire ce se resta fessi.
Non vedi che non è tempo d’allora
Quando i dialetti davano riflessi
Come perle alla luce dell’aurora
E invece mo svaniscono dismessi ?
Prendiamo per esempio la tivù
E il guazzabuglio che a parlare c’è,
Prova a raccapezzartece un po’ tu;
Vai in un bus, al mercato, in un caffè,
Vedi un po’ se ce puoi capire più
Con l’interprete bono o a fa’ da te.
VI
E invece c’è il leghista che s’ostina
Sul dialetto a fa’ la buggerata
De farlo lingua come baggianata,
Con intenzione invero bagarina.
Se mette il dialetto alla fucina
Della scuola de Stato sgangherata
E nell’intestazione raddoppiata
D’una strada o veduta in cartolina.
E tutto questo quando tutto il mondo
Se fa paese piccolo e le lingue
Ce se studiano tutte a tutto tondo,
I popoli se frullano e s’estingue
Ogni confine dentro il mappamondo,
Capendoci l’un l’altro in mistilingue.
VII
Perciò io scrivo proprio come in giro
Oggi se parla, pure alla TiVù,
E così io ce scrivo con la biro,
Ce dialogo, ce faccio un po’ il frufrù.
Con questo civilese io m’ispiro,
Me ce diverto in mezzo alla tribù,
Me ce sfogo la bile e ce respiro,
Me la rido e c’irrido col cucù.
E ce vada la lingua alla bonora
In questo mondo ormai globalizzato,
Col dialetto andato alla malora;
Col burino che parla in letterato
E il dotto che ce parla alla fattora,
L’eloquio che cianfruglia l’immigrato
Con questo civilese scrivo ognora
Quando me ce diverto spensierato,
Per cui così me piace e me rincora.