HAIKU
Molti alberi ed arbusti ci sono pervenuti, nel tempo, dalle zone più
lontane della terra e li abbiamo coltivati raccogliendone frutti
meravigliosi. Nell’epoca della
globalizzazione, da ogni parte del mondo ci pervengono profluvi di innovazioni tecnologiche, ma anche
non pochi tentativi di sperimentazioni ambigue di modalità diverse, che tentano
d’innestarsi nella carne più viva della nostra sensibilità e della tradizione più profonda della nostra cultura occidentale.
Nella voglia matta e tumultuosa di accogliere importazioni e novità esotiche, è accettabile anche
l’innesto del giapponese haiku nel corpo vivo della nostra poesia? Coinvolgerebbe
solo la forma? Ma la forma non è anche sostanza? Come è possibile, dunque,
un’adozione assimilatrice di un qualcosa di così culturalmente diverso e
lontano da noi? Sarebbe possibile, solo
per amor di novità o di puro sperimentalismo, assimilare ciò che non appartiene
alla sensibilità espressiva più profonda del nostro mondo?
Se ne fa il tentativo forse perché l’aiku è una forma essenziale nella
sua estrema brevità, e perché non richiede ampiezza di sviluppo e impegno
complesso. Ma anche sotto questo punto
di vista, noi non ne sentiamo il bisogno,
poiché abbiamo già avuto l’esperienza del frammentismo letterario, totalmente
nostro, sin nelle radici più profonde.
Abbiamo già avuto il “M’illumino
d’immenso” di Ungaretti: che cosa ci
potrebbe essere di più breve, di più apparentemente semplice, ma anche di più
sintetico, di più essenziale? E l’abbiamo superato! O, forse, proprio quella
brevità eccessiva e quella concisione estrema sono state il segno della progressiva
perdita della funzionalità della poesia, anzi il segno dell’esaurimento della
poesia stessa nella coscienza del
pragmatismo borghese globalizzato?
Forse la borghesia, nei suoi molteplici interessi pragmatici, non può
riservare la sua attenzione ad attività che non rendono denaro, ad attività che
non sempre sono facilmente manipolabili ed utilizzabili con immediatezza per i
suoi fini, per cui la poesia ha perso ogni sua funzionalità, tranne quella
dell’espressività solipsistica. E di solipsismo e di espedienti retorici la poesia sta morendo. Ed allora, vista in
questa prospettiva, non c’è haiku che
possa risollevarne le sorti; ci vuole ben altro che un haiku!
Per curiosità, propongo in merito questo
mio haiku, pur non proprio perfetto:
Ora
l’aiku
Si
azzarda in Italia:
Stramba idea!