giovedì 8 agosto 2013

                                                              HAIKU
   Molti alberi ed arbusti ci sono pervenuti, nel tempo, dalle zone più lontane della terra e li abbiamo coltivati raccogliendone frutti meravigliosi.  Nell’epoca della globalizzazione, da ogni parte del mondo ci pervengono  profluvi di innovazioni tecnologiche, ma anche non pochi tentativi di sperimentazioni ambigue di modalità diverse, che tentano d’innestarsi nella carne più viva della nostra sensibilità  e della tradizione più profonda  della nostra cultura occidentale.
    Nella voglia matta e tumultuosa di accogliere  importazioni e novità esotiche, è accettabile anche l’innesto del giapponese haiku nel corpo vivo della nostra poesia? Coinvolgerebbe solo la forma? Ma la forma non è anche sostanza? Come è possibile, dunque, un’adozione assimilatrice di un qualcosa di così culturalmente diverso e lontano da noi?  Sarebbe possibile, solo per amor di novità o di puro sperimentalismo, assimilare ciò che non appartiene alla sensibilità espressiva più profonda del nostro mondo?
    Se ne fa il tentativo forse perché l’aiku è una forma essenziale nella sua estrema brevità, e perché non richiede ampiezza di sviluppo e impegno complesso.  Ma anche sotto questo punto di vista, noi non ne sentiamo  il bisogno, poiché abbiamo già avuto l’esperienza del frammentismo letterario, totalmente nostro, sin nelle radici più profonde.     
   Abbiamo già avuto il “M’illumino d’immenso”  di Ungaretti: che cosa ci potrebbe essere di più breve, di più apparentemente semplice, ma anche di più sintetico, di più essenziale? E l’abbiamo superato! O, forse, proprio quella brevità eccessiva e quella concisione estrema sono state il segno della progressiva perdita della funzionalità della poesia, anzi il segno dell’esaurimento della poesia stessa  nella coscienza del pragmatismo  borghese globalizzato?
   Forse la borghesia, nei suoi molteplici interessi pragmatici, non può riservare la sua attenzione ad attività che non rendono denaro, ad attività che non sempre sono facilmente manipolabili ed utilizzabili con immediatezza per i suoi fini, per cui la poesia ha perso ogni sua funzionalità, tranne quella dell’espressività solipsistica. E di solipsismo e di espedienti retorici  la poesia sta morendo. Ed allora, vista in questa prospettiva,  non c’è haiku che possa risollevarne le sorti; ci vuole ben altro che un haiku!
Per curiosità, propongo in merito questo mio haiku, pur non proprio perfetto:
                                            Ora l’aiku
                                            Si azzarda in Italia:
                                            Stramba idea!