lunedì 21 dicembre 2020

 

                                    REGILLO  E  SUOR COLOMBA

 

  Questa mia poesia la scrissi molti anni fa, quando i miei compaesani fecero una nuova banda musicale e la chiamarono Regillo. La scrissi in dialetto moriconese ( un dialetto dalla pronuncia dura e chiusa) e con un senso scherzosamente ironico: i moriconesi identificano il loro (e il mio) paese, senza alcun fondamento  storico, con l’antica città sabina Regillo (tanti altri paesi della stessa zona affermano per se stessi la medesima identificazione). Sono così orgogliosi di questa pretesa identificazione storica che hanno chiamato la locale banda musicale appunto Regillo. Purtroppoi essi non celebrano affatto Suor Colomba, secondo dati storici loro compaesana, vissuta nel Settecemto, dotata di notevole personalità e che ancora nell’Ottocento era celebrata come suora in odore di santità

 

Se cridu ch’a nni scóji  e‘ Murricó

Ce stea Regillum oppidum Sabinae,

Gliel’au dittu, ma non sau però

Ddo stau e quali so’ quelle ruine

 

Che non ge stau né qua, né là, né su, né jó,

Ché fiji forse so’ de’ saracine,

De’ normanne o lombarde o che ne so,

Delle ggendi londane o de’ vicine.

 

Issi c’a banda ce ggiranu però

Co’ ssu famusu nome de Regillo,

Cucì fumusu  che ce sfuma ‘n bo

Come ó fume che fa Puzzu Furnillu

 

 

Me pare jé va bbe’ pure ‘n puillu

De fume condéndi ‘ngora mo

De stu nome arminu pe’ sindillu.

 

 

 

De sor Colomba ‘nvece se ne scordanu,

Pure de monichelle ‘e Murricó;

A penzacce bbè’ non ze recordanu

De famije che ne teneanu pó’

 

‘Na fija arminu, e mo non ge congordanu

C’a fete che ce tengu; ma però

Co’ cche festa de sandu ce se ‘ccordanu

E ‘n che modo ce tengu ‘a divusió’.

 

Pó esse’ che pe’ sor Colomba ‘nvece

Mangu don Aleandro c’ha pututu

Co’ tanda ‘mmirasione, che ce fece

 

 

Diversi articulitti a ‘nnu ggiornale?:

Pussibbile che tandu c’è scadutu

U nome de ‘na monica speciale?

 

 

                              PARAFRASI

 

Molti moriconesi credono che sul pietrame di Moricone ci sia stata l’antica città sabina Regillo: glielo hanno detto, ma non sanno dove se ne trovano i resti,

che non stanno qua o là, né sopra né sotto; ci credono perché forse sono figli di saracine o delle normanne o delle lombarde o che ne so, di gente lontane o di quelle vicine.

Essi pèrò vanno in giro con  la banda e con quel nome famoso di Regillo, così fumoso che ce sfuma un poco come il fumo che fa Pozzo Fornello..

Mi pare che a loro vada bene anche un pochino di fumo, contenti ancora adesso

almeno di sentirne il nome.

Invece di suor Colomba se ne dimenticano e (si dimenticano) anche delle  sue suore di Moricone; a pensarci bene non  ricordano (neanche) di quelle famiglie moriconesi che poi (di monache) ne tenevano almeno una e (per questo) non concordano con la loro fede; però per la festa di qualche altro santo si mettono d’accordo, e in qualche modo professano la loro devozione.

Può essere che invece per suor Colomba, neanche don Aleandro ha potuto influire, con tanta ammirazione che ne ebbe da scriverci sul giornale (delle suore) tanti articoletti? E’ possibile che sia scaduto così tanto il nome di una monaca così speciale?

 

 

 

lunedì 14 dicembre 2020

 

Una mia antica poesia trattadal mio autoedito “Pagine dissepolte”

 UNA NUVOLA ALTA

Nell’azzurro cielo profondo

Una nuvola alta

Sta come nella mia coscienza

Un turbamento.

 

Lieve muta un suo lembo

E in metamorfosi

Aereo fanciullo sorprende;

 

Un lento mutamento

Quel volto più chiaro delinea

Ed accanto d’aria fiorisce

Profilo d’immagine femminea.

 

Dal fondo mi riemerge

Acerba adolescenza:

Rosseggia di fuoco il tramonto,

La nuvola s’incendia

E io ardo al ricordo.

 

Ed ora il mio tempo si brucia      

Nell’ultimo sole,

Come scialba falena

A fiamma di lucerna.

 

 

 

domenica 26 aprile 2020


                    VENTICINQUE  APRILE
      SETTANTACINQUESIMO  ANNIVERSARIO

Oggi ricordo quel giorno fiorito
Di bianco, di rosso, di verde
Al sole d’oro nel cielo colmo d’azzurro
Quando la luce degli occhi
Ci si apriva alla speranza,
Come un fiore si apre
Al vento di primavera.

Allora in quel giorno  mi parvero
I partigiani torturati ed uccisi,
Assieme ai vecchi alle donne e ai bambini
Arsi nelle case bruciate,
Sorridere e risorgere
Nella luce azzurra del cielo
In un coro di inni e di mille bandiere.

Ma oggi dentro mi si empie
Il cuore d’amarezza e di lacrime
Al vedere deposte corone d’alloro
Sulle lapidi fredde di marmo, 
Come corone consolatorie
Per gli amari tradimenti verso gli ideali
Di quelli che soffrirono torture
E versarono il sangue per un sogno
D’un mondo più giusto e di pace
Per le nuove generazioni future.   

E se oggi ancora io ascolto
Cantare dai giovani le canzoni
Di resistenza e di lotta d’allora,
Dentro io fremo di sdegno
Per gli antichi palazzi
In cui si tendono tele di ragno
Che avvolgono e serrano
Quella giustizia per cui essi
Versarono sangue e morirono.
  
Tanti anni,e a me vecchio
Sembrano ancora quelli di ieri,
Perché ricordo quei giorni e vissi quei fatti
Ed ebbi vive nel cuore le loro speranze!
Ma ora negli occhi
M’è rimasta soltanto la rassegnazione
Di fronte a coloro che vincono sempre,
E sconforto m’assale nel giorno
In cui sulle tombe ormai antiche
Squillano trombe:
O voi torturati e uccisi non gemete,
Sorridete almeno solo in questo giorno
Per i semi che avete gettato nel solco
Col vostro sangue!


mercoledì 5 febbraio 2020


     Pubblico qui di seguito questo scritto tratto
dal mio POESIA E FORMA autoedito con Youcanprent.

                          LA FUNZIONE DELLA POESIA

   Anche ai semplici lettori mi pare che possa accadere di chiedersi quale sia la funzione della poesia quantunque non sempre se ne ha chiara la risposta. Porsene la questione mi sembra invece necessario per chi abbia voglia di scrivere versi con consapevolezza delle ragioni, dei fini, degli strumenti e dei modi di scrivere versi con consapevolezza delle forme che connotano e distinguono la poesia.
   Certamente alla radice della scrittura poetica c’è l’esigenza primaria dell’espressione delle cariche emotive dell’uomo; esigenza che nei tempi oscuri della storia coincise col canto e con la musica, per cui si motivarono le misure dei versi, i loro ritmi e le strofe, facendo nascere la poesia come arte specifica.
   La poesia però non è solo espressività dei moti dell’animo. E’ anche strumento di comunicazione religiosa, come  negli inni sacri e nei salmi. Ed è anche, forse soprattutto, strumento di enunciazione e diffusione delle idee, di contenuti culturali, come con Lucrezio e Dante, di sviluppo e consolidamento delle idee nazionali e del potere, come con Virgilio e Orazio nell’antichità e come con Carducci più recentemente; di propaganda più o meno palese .
   La  diffusione della poesia certamente era legata alle potenzialità della sua  memorizzazione  per effetto del ritmo, delle rime e delle strofe, che ne facilitavano anche l’apprendimento e la declamazione specialmente in tempi di analfabetismo strumentale, quando era cantata e recitata anche dai ceti popolari, persino nei paesi della campagna con i canti mandati a memoria dai contadini.
   Le classi dirigenti che ne usufruivano come strumento di persuasione, di consenso e di potere, però già al principio del secolo scorso, avevano trovato strumenti ben più efficaci e alternativi di comunicazione di massa nella stampa, nella radio e poi nel cinema, sia per la capillarità di diffusione sia per l’enorme capacità di coinvolgimento popolare.
   Ne pagò subito il prezzo  Rapisardi, osannato fino a pochi anni prima e oscurato e dimenticato subito dopo la morte. Ne fu poi testimone più ancora l’ermetismo, quando i poeti ormai erano  isolati ed emarginati dal mercato culturale.  Da allora la poesia è stata quasi espulsa dai cataloghi editoriali; si è poi limitata e racchiusa in un’esperienza solipsistica, in uno sperimentalismo parossistico, in un’ubriacatura della metafora. Quale può essere oggi la funzione della poesia così condizionata dai tanti nuovi linguaggi apparsi e ormai d’uso comune con lo sviluppo tecnologico e con la produzione dei nuovi mezzi elettronici? Quale funzione può svolgere la poesia nei tempi del cellulare, di Twitter, di Istagrm e  di Facebook?
  Ce lo dobbiamo chiedere, se davvero vogliamo ancora utilizzare il linguaggio poetico con la consapevolezza che esso richiede.


venerdì 31 gennaio 2020

Riporto qui di seguito gli Epitaffi tratti dal mio
LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI auto edito
con Youcanprint                     
                                 EPITAFFIO
                                    Qui giace
                         l’Uomo Contemporaneo
                                non ebbe tempo            
                     che al produrre e consumare                                                       
                           non rise e non cantò
                         non pianse e non narrò
                                 vecchio morì
                          senz’essersi avveduto
                 d’essere almeno per un dì vissuto
                                O viandante vai
                             non ti posar giacché
                                    costui da te
                            non meritò un saluto.
                           
                                    

                                 II°  EPITAFFIO
             
                             Il poeta odierno
                                      giace
                                  qui morto
                         la sua anima all’inferno
                 è condannata a zoppicar su sillabe
                          del suo verso distorto
                              e quando riposa
                             a starsene in bilico
                             su pessima prosa

        
                              EPICEDIO  PER  LA
                      FIERA   LETTERARIA
                                                
Di certo Fracchia te non riconosceva
Più sua figlia, e il suo teschio gelido
Nel cimitero non avrà  socchiuso
Solo un’occhiaia per l’ultima tua morte.
Ma l’Angioletti non so che crepacuore
Avrà sofferto dentro la sua tomba
Nel conoscerti in pessima salute,
Sapere poi la funesta notizia.

Dramma fu il tuo tendere a serbare
Stile e decoro, non cedere alle voglie
D’ibrido secolo dedito a consumistiche
Orge d’affari:  pur sempre i compromessi
Male procurano a chi ebbe per natura
Animo e slancio a pro della cultura.

Adesso il bell’inserto Tuttolibri,
Per te, dentro lo spirito del tempo,
Non lista a margine ipocrita lutto,
Ma dalle edicole ilare espone
Classifiche di libri più venduti
Come salumi, e occhieggia dalle mani
Del pescivendolo che v’avvolge cefali,
Saraghi e minutaglia per frittura.

                  

venerdì 10 gennaio 2020


Dal mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI
autoedito con Youcanprint riporto qui di seguito
la  lettera ALLA VITA..


               ALLA  VITA

Tu, Vita, genitrice degli uomini
Degli animali e delle piante che stanno sulla terra,
Bella oltre ogni possibile dire ovunque appari,
Nel giorno e nella notte
Pieno di meraviglie rendi il mondo!

Vita, tu che aliti rorida nel filo dell’erba dei prati
E nelle querce immense che ombreggiano i boschi,
Tu, che voli sulle ali rapide degli uccelli
Garruli dentro il cielo
E sulle ali leggere delle farfalle volteggianti sui fiori,
Che giochi coi pesci che guizzano
Nell’acqua celeste dei mari
E in quella che verde nei fiumi scorre silente,
Tu con la tua bellezza illumini
Il cielo il mare e la terra
E accendi amore  in ogni creatura
Che per te vive e gioisce nel mondo!

Anche io gioisco di te, m’illumino
Dei colori che generi nei fiori,
Ascolto le voci dei monti, i canti degli uccelli,
Il suono dei venti nel bosco; e tutto d’arcano mi sa
E mi prende di te meraviglia.
Io ti vidi dapprima nell’amore dolcissimo
Degli occhi di mia madre e ti colsi nel turgido latte
Che scorreva come linfa nel mio corpo d’infante.
Ti vidi in me, ti colsi bellissima
Nelle gemme che si aprivano
In multicolori petali, in miracoli di frutti,
Nel  prodigio d’un seme che germina in cespi verdi
O s’innalza in alberi che sfidano tempeste
Di secoli, ti colsi in mille miracoli
Del cielo e della terra. Ed  allora a te cantai
I miei inni segreti d’amore più belli, più puri,
Più dolci per la tua immensa bellezza celeste.

Ma improvvisa, lacerante, subdola            
Più d’una callida volpe e d’una vipera in agguato,
Più d’un pitone ravvolto in spire di trappola
A scatto funesto sottesa, dentro me nell’attimo
Ti colsi a nutrirti di morte degli esseri.   
O Vita infame, tu intrinseca alla Morte
Sorella tua fatale!  Morte tu stessa!
Ti scopersi allora più feroce di tutte le belve
Che popolano la terra e gli abissi degli oceani,
Più feroce d’un’aquila, che dal cielo si lancia
A precipizio, ghermisce una trepida lepre e la lacera
Col becco adunco e ne inghiotte
La carne sanguinante  e palpitante ancora!

Ma più lacerante ancora è riconoscere
Che tu non puoi essere al mondo senza Morte, 
Che ogni essere vive della morte dell’altro:
Tremendo svelamento che dilania
La coscienza del vivere nel mondo!

Vita, tremenda ed empia, tu costringi gli esseri
A una lotta mortale  senza fine,
Per cui ognuno divora l’altro!
Vita, tu spingi  l’uomo,
Più assassino d’ogni altro, a divorare
Tutti gli altri  esseri del mare, del cielo e della terra,
Cosicché ogni specie egli stermina
E dal mondo la cancella!

Per te, Vita, l’uomo dà morte
Ad altro essere che per te gioisce,
Ma, pena sua tremenda, sa quanto
E’ orribile uccidere l’altro per vivere.
Giudica  sia sua la colpa, e tenta lavacro  rituale
che gli purifichi l’ anima.
E il cuore si lacera, perché togliersi di dosso,
Quale camicia di Nesso, non può tanto delitto.
Ma non l’uomo, tu, Vita,  sei rea! Per amore di te
Anche l’uomo cade nelle tue trappole tremende,
Sicché la sua anima lorda  egli mai potrà
Purificare da tanto peccato primordiale
Neanche con sacre abluzioni!

Tu sei rea! Eppure tutti a te anelano,
Tutti in te si abbandonano  abbagliati dalla tua luce
E dalla tua indicibile bellezza, divina incantatrice!
Neanche io, disincantato ad un sacro lavacro,
Neanche io recedo dall’amarti nel fascino
D’un mondo che ti brama e che vive di morte.
Per questo nella luce del sole che mi abbaglia
Di gioia dell’esistere,
Per questo, o Vita, a te brindo
E alla tua bellezza suprema,
A te brindo dell’uomo o estrema  ingannatrice!






martedì 7 gennaio 2020


Dal mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI
autoedito con Youcanprint riporto qui di seguito
la  lettera ALLA MORTE.

     ALLA  MORTE
               
                  Eri già tesa nel buio dei millenni
              A spiare il mio attimo di luce
              Nel miracolo arcano dell’esistere,
              Morte terrifica!
             
              La mia adolescenza ti sorprese
              Dentro di me in un angolo nascosta
              Nel tuo agguato paziente una sera;
              In me ti scopersi come a specchio concavo
              E in me fu vuoto, e orrore di conoscerti,
              Alla mia coscienza saperti inalienabile,
              Ho imparato a portarti dentro l’essere mio stesso
              Mentre il tuo ascolto dentro al mio respiro,
              Giorno per giorno, e tu conti i miei minuti
              E gelida ti scaldi al mio calore.

              Sei più ripugnante d’ogni delusione,
              Più amara d’ogni speranza perduta,
              Terribile più dell’abisso che il pensiero discopre.
Nell’implacabile odio che  non ti dà requie
              Cerchi la Vita, tu sorella nemica sua ferale,
              In ognuno di noi e t’illudi di strozzarla
              E finirla con le adunche orribili tue mani;
              Ma essa ti sfugge d’uno in altro
              E d’uno in altro fulgida fiorisce,
              Bellissima nelle recondite gioie
              Che dal mondo s’insinuano dolci nei sensi sottili.

              Tu dibatti le ali maligne, brancoli cieca e la Vita
              Insegui, più immonda della iena
              Che nel deserto si sazia seguendo le tue orme,
              Prendi noi ad  uno ad uno
              Come a scatto di trappola tremenda,
              D’ira livida nella tua illusione funesta.
Ma olimpico dal cielo il sole irride
              Alla tua rabbia impotente e indicibile,
              Infinita come l’immenso.
              Ed io un ghigno, prima che mi prenda,
              Sull’orrenda tua maschera ti faccio
              Mentre tracanno un bicchiere di vino,e la Vita
              Bella, radiosa, ineffabile, godendo saluto:
              Salve o Vita imperitura,
              Ambrosia divina del cielo e della terra,
              Trionfo d’uomini, di piante e d’animali!                               
              E tu, Morte, nefanda Morte, crepa di rabbia !