martedì 26 luglio 2016

Dal mio POESIE PER LA SCUOLA edito da Youcanprint
pubblico qui la seguente poesia.

                         PANE


Pane. Pane fresco. Pane bianco.
Pane fragrante di fuoco e di sole.
Pane benedetto dal Signore.
Pane profumato di mani materne,
Che sa d’antico, perenne lavoro,
Che sa di terra fiorita e matura,
Che sa d’amore.

Pane che brilla
Nelle mani callose;
Pane trionfante sul desco del povero;
Pane spezzato
Con trepido senso d’affetto,
Come meraviglia
Per bianche tovaglie di lino;
Pane d’altri tempi,
D’altri profumi e d’altri sentimenti.

Pane facile,
Pane semplice,
Pane senza amore, buttato a cuocere
Con gesto indifferente
Nel forno commerciale.
Pane disprezzato,
Buttato nel secchio dei rifiuti,
Rifiutato nel benessere
Come senza valore
E antica condizione del povero,
Con inconscio rancore
Per tempi di lungo soffrire.

Pane scuro pane duro,
Pane quotidiano, desiderato,
Agognato,
Divorato dagli occhi
Di cento e centomila bambini,
Che gridano, gridano
Forte la miseria del mondo,
Che gridano, gridano
Fin dentro le nostre città opulente
La cattiveria del mondo,
Che butta nei rifiuti
Preziosissimo pane
Con gesto banale e incosciente!



   




venerdì 15 luglio 2016

Dal mio POESIE PER LA SCUOLA edito da Youcanprint
pubblico qui la seguente poesia


  NON UCCIDETE IL MONDO


Non uccidete il bosco,
Non uccidete i pini
Che ora dispiegano i rami
Nell’azzurro del cielo,
Ora in cima hanno
Pennacchi di nuvole!
Non uccidete
Questi albatri e questi lecci
E gli agili carpini
Dove allegre capinere nidificano,
Dove cantano i merli
E svelte le piche
Disegnano l’aria
Di colori che mutano al volo!

Non uccidete il fiume
Che rispecchia nell’acqua
Il cielo e le nuvole
E le rondini oblique
E le vetrici verdi
Di nuovi germogli!
In viscide schiume biancastre
Non spegnete la sua voce che nelle
Mille piccole gole di rapide brevi
Canta lievi alle rive
Canzoni argentine!
Non offuscate la sua chiarità
Dove in trasparenze
Di limpida luce
Barbi guizzano
E cavedani lenti risalgono.!
Non uccidete il mare che accoglie
Le verdi acque dei fiumi
E in onde le infrange
Su rive a spruzzi di perle,
Dove spigole e saraghi
Argentei nuotano in cerchi di luce
E volano gabbiani nell’aria che intorno
L’effluvio d’alghe diffonde e di sale!

Non affogate il cielo e le stelle
                In cumuli di fumo
                Che soffocano il canto degli uccelli;
                Non fate salire alle nuvole
Nefaste volute di polveri
Che poi discendono in piogge venefiche
Sulle rosse cerase!
Non sperate nulla dal vento
Benefico che soffia da nord,
Che non può scambiare
Dai valichi dei monti
Le nuvole fumide di smog!

Non uccidete il fiume,
Non uccidete il mare,
Non uccidete il bosco,
Il cielo e il mondo,
Se non volete che la terra
Sia un’immensa bara per voi,
Che non avrete figli
Per piangere e pregare
Perché sulle sventure
Che incombono all’uomo
Dolce discenda
La pietà del Signore!













lunedì 11 luglio 2016

Pubblico qui di seguito la Premessa a Lettere,
ultima parte del mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI
edito dalle  EDIZIONI SIMPLE
                                  PREMESSA
   Vocabolari e storiografia letteraria sono concordi: la satira trae il suo nome da un piatto di varie vivande offerto agli dei, in quanto composizione di forme e contenuti variabili, di versi e prosa, cioè da ciò che è indicato con “satura”. Un miscuglio insomma, quasi un minestrone.
    D’altra parte, però, basterebbe non trascurare quello  che scrivono gli storici dell’antichità in proposito. Si coglierebbe facilmente la discendenza della satira da una specie di danze e di canti dei romani nei primi secoli, quindi da ciò che è derivato da “satyrus”.
   Dionisio di Alicarnasso, nella sua Storia di Roma arcaica (siamo nel V sec. A.C.) nel Cap. VII al punto 72.10, a proposito delle processioni, scrive: “Infatti ai danzatori armati facevano seguito i danzatori travestiti da satiri, che imitavano le danze sicinnide…..Costoro motteggiavano e imitavano i movimenti solenni, volgendoli in ridicolo”.
Sappiamo che questa tradizione popolare, diciamo anche plebea, giunge fino alle soglie dell’Impero, quando i legionari nei cortei trionfali di Cesare cantavano: “Ecco, ora trionfa Cesare che sottomise le Gallie e non trionfa Nicomede che mise sotto Cesare”.
  Se si raccogliessero e raccordassero i verbi “schernire, motteggiare,volgere in ridicolo” di cui parla Dionisio in proposito, si vedrebbe bene che questi sono i verbi propri di quella che poi sarà la satira nel suo manifestarsi nella storia letteraria. Si vedrebbe bene che, muovendo dai modi espressivi di coloro che, coperti di pelli di capre, rappresentavano i satiri, poeti e scrittori dei secoli seguenti realizzeranno opere letterarie non solo con linguaggio di scherno e motteggio, ma con raffinata ironia e  sarcasmo, come in Marziale,  di critica e denuncia e ancora di linguaggio beffardo, caustico, mordace, fino anche alla violenta fustigazione morale, come in Giovenale.
   Qui, in queste mie “lettere”, io ho voluto seguire in qualche modo sia l’una che l’altra interpretazione. Di fatto ho scritto quasi un “minestrone”, cioè un miscuglio di versi di varia misura che si congiungono in  versi più estesi nella composizione. Riguardo al contenuto, al genere, però ho tentato, così come m’è venuto, di seguire lo spirito ironico, di denuncia, quindi satirico,  che scaturisce dal mio senso di amarezza, da delusione profonda nei confronti del cammino dell’uomo nella storia.
   Composizioni, che ho voluto chiamare lettere, poiché con esse retoricamente mi sono rivolto a persone vive o defunte, e, curiosamente, persino alla Morte e alla Vita. Questo, però, non dovrebbe sembrare  poi tanto strano, giacché oggi non pare che ci sia tanta possibilità di comunicazione interpersonale concreta e  basata su rapporti affettivi e rilevanze emozionali. Meglio conversare con i Morti, cioè con i loro libri, e meglio parlare con se stessi, fingendo di rivolgersi alla Morte e alla Vita, che parlare in modo impersonale e convenzionale sul filo dei moderni mezzi elettronici e nelle corse affannose degli affari nell’odierno sistema di vita.
                                     L’Autore