domenica 5 giugno 2016

                                    NUOVE FORME 

  Se all’uomo della macchina e dell’energia elettrica l’arte dei futuristi, di Duchamp, ecc., aveva risposto col dinamismo delle forme, con la concettualizzazione della cosa già fatta, con l’astrattismo della visione pittorica, cioè con la frantumazione e la spazializzazione dell’immagine, oggi, all’uomo dell’informatica, della robotica, della nanotecnologia e della digitalizzazione del linguaggio, l’arte come sta rispondendo?
   E’ come dire: Dove va oggi l’arte? E’ possibile ancora l’arte?
   Lapalissianamente si può rispondere che siamo tuttora circondati da una sempre più intensa produzione di opere che sono definite generalmente come opere artistiche. Ma allora ci si può domandare in quale senso quelle opere possano essere definite artistiche, giacché non sembrano affatto collocabili nel quadro stilististico in continuità con la tradizione, né esse sembrano più possedere  le funzioni  dell’arte tradizionale, checché ne dicano i critici e i teorici più qualificati.
   Il dubbio è grande, perché pare lecito poter parlare di cesura tra il prima e il dopo della tradizione, anche se molti invece parlano di continuità con la tradizione. Resta difficile però dimostrare che, ad esempio, un taglio di Fontana  e una scultura di Moore possano collocarsi sulla stessa linea di un Beato Angelico o di un Canova e di un Bernini.
   Se facciamo tre pupazzi impiccati ad un albero, non penso si possa dire che ciò sia una scultura, perché è solo un’idea materializzata in plastica gonfiata. Però si potrà pur sempre dire che quella è arte, in quanto siamo noi stessi ad attribuirgli una forma e un messaggio secondo la nostra intenzione. Cioè è arte solo per noi che facciamo questa affermazione. Però c’è da chiedersi se c’è un’identica percezione in noi che vediamo e contemporaneamente nell’artista che l’ha pensata e realizzata.  
   Chi può dirimere il problema?  Possiamo dirlo noi che vediamo e l’artista che ha operato? Nella questione  s’inseriscono critici e galleristi, che possono essere interessati a credere  o a farci credere ad un  messaggio inerente a quei manufatti e a dargli un valore artistico, da tradurre in valore economico per farci affari e relativi guadagni.
   Allora può sembrare che l’arte odierna non risponda tanto ai nuovi problemi espressivi posti dalle moderne tecnologie, ma che essa li consideri e li segua solo per la tangente per inserirsi  effettivamente e drammaticamente dentro al sistema economico finanziario, che oggi coinvolge e dirige ogni aspetto della vita dell’uomo.
    In sintesi allora si può dire che anche per l’arte  si è verificato e si verifica il processo di mercificazione per l’accumulo di denaro, non tanto per l’artista quanto per l’acquirente che condiziona l’artista e custodisce l’opera in vista d’un guadagno.

   In questa prospettiva, la robotica e le nanotecnologie non c’entrerebbero affatto. C’entrerebbe - eccome! – il sistema capitalistico-finanziario che materialisticamente mercifica tutto, fino a snaturare le idee e le tradizioni più profonde dell’espressività originaria dell’uomo.