NUOVE FORME
Se all’uomo della macchina e dell’energia
elettrica l’arte dei futuristi, di Duchamp, ecc., aveva risposto col dinamismo
delle forme, con la concettualizzazione della cosa già fatta, con l’astrattismo
della visione pittorica, cioè con la frantumazione e la spazializzazione
dell’immagine, oggi, all’uomo dell’informatica, della robotica, della
nanotecnologia e della digitalizzazione del linguaggio, l’arte come sta
rispondendo?
E’ come dire: Dove va oggi l’arte? E’ possibile
ancora l’arte?
Lapalissianamente si può rispondere che
siamo tuttora circondati da una sempre più intensa produzione di opere che sono
definite generalmente come opere artistiche. Ma allora ci si può domandare in
quale senso quelle opere possano essere definite artistiche, giacché non
sembrano affatto collocabili nel quadro stilististico in continuità con la
tradizione, né esse sembrano più possedere
le funzioni dell’arte
tradizionale, checché ne dicano i critici e i teorici più qualificati.
Il dubbio è grande, perché pare lecito poter
parlare di cesura tra il prima e il dopo della tradizione, anche se molti invece
parlano di continuità con la tradizione. Resta difficile però dimostrare che,
ad esempio, un taglio di Fontana e una
scultura di Moore possano collocarsi sulla stessa linea di un Beato Angelico o
di un Canova e di un Bernini.
Se facciamo tre pupazzi impiccati ad un
albero, non penso si possa dire che ciò sia una scultura, perché è solo un’idea
materializzata in plastica gonfiata. Però si potrà pur sempre dire che quella è
arte, in quanto siamo noi stessi ad attribuirgli una forma e un messaggio
secondo la nostra intenzione. Cioè è arte solo per noi che facciamo questa
affermazione. Però c’è da chiedersi se c’è un’identica percezione in noi che
vediamo e contemporaneamente nell’artista che l’ha pensata e realizzata.
Chi può dirimere il problema? Possiamo dirlo noi che vediamo e l’artista
che ha operato? Nella questione s’inseriscono critici e galleristi, che
possono essere interessati a credere o a
farci credere ad un messaggio inerente a
quei manufatti e a dargli un valore artistico, da tradurre in valore economico
per farci affari e relativi guadagni.
Allora può sembrare che l’arte odierna non
risponda tanto ai nuovi problemi espressivi posti dalle moderne tecnologie, ma
che essa li consideri e li segua solo per la tangente per inserirsi effettivamente e drammaticamente dentro al sistema
economico finanziario, che oggi coinvolge e dirige ogni aspetto della vita dell’uomo.
In sintesi allora si può dire che anche per
l’arte si è verificato e si verifica il
processo di mercificazione per l’accumulo di denaro, non tanto per l’artista
quanto per l’acquirente che condiziona l’artista e custodisce l’opera in vista
d’un guadagno.
In questa prospettiva, la robotica e le
nanotecnologie non c’entrerebbero affatto. C’entrerebbe - eccome! – il sistema
capitalistico-finanziario che materialisticamente mercifica tutto, fino a
snaturare le idee e le tradizioni più profonde dell’espressività originaria
dell’uomo.