Riporto la seguente lettera/satira
tratta dal mio LETTERE
BIGLIETTI E BIGLIETTINI autoedita
con EDIZIONI
SIMPLE
A M.
Z.
Tu gentile mi chiedi perché i
miei versi non pubblico,
Giacché
– tu dici - sono limpidi ed hanno
Profondo senso poetico.
Sarei un ipocrita se ti
dicessi che mi muove pietà
Per
le vetrici argentee, per gli agili pioppi, che il cielo
Sereno
svariano d’umido verde nei giorni infuocati
D’estate
e di caldi colori
In quelli che illanguidisce
autunno.
Infatti
per così poco
Bisogno non avrei di camion di
carta,
Come
Moravia per le tante sue opere o peggio di treni
Che
Montanelli consuma per la penna mai quieta.
Pietà
degli alberi non hanno i grandi editori,
Quando
i libri pubblicano che non valgono un fico,
Purché scritti siano da
questo o quel giornalista,
Da
un attore o gran cuoco o da un divo qualsiasi,
Da
uno già noto comunque;
Pietà
non ne hanno i poeti
Quando
elencano parole in schemi d’epigrafi
E
dalle loro frenesie
Lambiccano inaccessibili
metafore,
Senza né punti né virgole
E per poesia il tutto
gabellano.
Più ancora m’indugia pudore
Di debole e tremula voce
Sommersa
fra gli strepiti di mille
E mille sedicenti poeti
Che
dalle paginette gridano parole ubriache e le loro
Anime isteriche in
versi insaponano stolidi; tra tanto
Gracidare confuso d’opuscoli,
Chi mi trarrebbe più in alto
Sicché udire si possa
Da dieci lettori l’ingenuo
mio canto?
Non certo verrebbero i
critici ad aprirmi le porte
Degli editori, poiché se
costoro
Sono troppo impegnati
Nell’industria dei nomi
affermati comunque,
Quelli sono intesi a fingere
d’avere trovato qualcosa
Dentro l’altrui lavoro che
essi invece vi han messo.
Né io intendo darmi per
stupido prurito del mio nome
Ai viscidi tentacoli protesi
Da un di quei che stampano
Per denaro sonante libercoli
a gettito continuo
E intorno al collo d’illusi
poeti stringono grinfie
Simile a quelle di notturni e
astuti rapaci.
Quantunque onestamente
Stampando i miei versi a mie
spese
Ne donassi le copie agli
amici e le spedissi a quelli
Che nelle riviste contano e
imbastiscono chiacchiere
Argute sulle lettere, chi ne
farebbe conto?
Chi vedendole appena
Non le butterebbe fra le
inutili carte
Che nelle borse rigonfie ci
porta il postino
Per la fiera di ciarle che
infinocchiano folle?
Si
ciancia a bella posta di libertà dell’uomo
E
delle idee, ma è solo libertà di mercato
In
cui solo chi tiene denaro può avere
parola,
Solo
chi ha denaro
Stringe
nel pugno il potere dell’uomo .
Ma
io denaro non ho,
Né
a lotto gioco o vinco scommesse
E
non nutro speranze di fortune improvvise;
Ho
solo desiderio di dire e di farmi ascoltare
Dalle
pagine scritte. Ma essi ne han voglia?
Ma
poi perché leggere dovrebbero
Un
mio misero libretto
Coi
miei poveri versi che a furia di lima rilucono
Appena
qua e là fra ruvidi suoni
Ed
aspri corrucci che da dentro mi scuotono?
Quanto
a me certamente sai
Che
io scrivo per me stesso,
Per
dire quel che m’urge di quel che intorno accade,
Per
lo sfogo di rabbia che ribolle a me ribelle dentro
Verso
un mondo sconnesso che disfido,
Che
guardo e nel guardarlo esplodo e allora scrivo
E
nei miei versi io non veduto di me stesso rido.