sabato 4 agosto 2012


                                   QUALE  POESIA?
   Qualche giorno fa sono stato in un paio di grosse librerie. In ognuna ho trovato pareti di romanzi, scaffali pieni di saggi,  collane di manuali, soprattutto libri di cucina. Di libri di poesia direi neanche l’ombra; ma pure se ne intravvedevano alcuni di A. Merini e qualche altro dei classici. Di contro, nei siti on line c’è un mare di poeti, cioè un mare di coloro che intendono scrivere poesie.
    Senza voler procedere ad un’analisi di dati oggettivi, si ha la netta impressione che la poesia oggi sia solo una vaga aspirazione di molti, pensando al numero appunto degli aspiranti poeti. Se poi si guarda invece a quello che commercialmente è detto prodotto, cioè al complesso delle cosiddette poesie pubblicate comunque, allora ci si trova di fronte a sfoghi, a ricercate e fanciullesche  emozioni, ad immagini di sogni ad occhi aperti, ad espressioni di sentimenti   e risentimenti scambiati per creazioni poetiche. Al di là dalla forma, che non è secondaria, ma coessenziale con la poesia stessa.
   Di là dalla forma, appunto, se possibile. Come mi è capitato poi di considerare le poesie lette alcuni giorni fa sul Messaggero svolte sul tema dello spread. Qui, diversamente dai siti, dodici poesie di dodici poeti fra i più noti di quelli odierni. Da trasecolare. Va bene che la poesia sembra essere estranea allo spirito del nostro tempo. Ne ho considerato un esempio parlando più sopra di due librerie. I libri di poesia non si vendono più anche per lo spirito del tempo.  Spirito di prosa, tempo di parole rapide e di idee secche e veloci, di concetti su cui non ci si può soffermare per mancanza di tempo, che sfugge. Quando invece la poesia è raccoglimento, concentrazione, ascolto della vita, interiorizzazione che va oltre la misura del tempo.
   Ma poi ci si mettono anche i poeti. Con la loro concezione della poesia. Poesia intesa come suoni di parole; come giochi di parole; come astrazioni  del tutto soggettive e come tratteggio di crespe in superficie d’un tempo liquido e di un mondo rarefatto. Quando invece la vita ribolle e si fa strazio nella profondità dell’anima. Quando lo spirito si ribella e si lacera all’ipocrisia e alla perversità dell’ingiustizia dell’uomo verso l’uomo in questo sistema che è solo trama di lotte egoistiche per la selezione dei sopravviventi.
    Ed allora si vede perché nessuno legge poesie. Si giustificano gli editori perché non pubblicano e non vogliono manoscritti di poesia, ma solo romanzi e libri di cucina.
   Allora si pone concretamente il problema della riflessione sulla funzione della poesia nel nostro mondo, nella cultura del nostro tempo. Come responsabilità del poeta di fronte a se stesso, alla poesia, alla cultura. Ed anche come responsabilità verso l’uomo. Quindi verso la società. Perché il poeta non può parlare solo a se stesso.