lunedì 29 giugno 2015


Dal mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI edito da SIMPLE pubblico qui la
prima lettera AD ORAZIO

             AD  ORAZIO  (Prima lettera)                                                  

Felice te, Orazio, se un solo scocciatore
Per Via Sacra t’importunò!                                                               
Tu non sai quante voci ed immagini
Pene infernali m’affliggono
E petulanti e sgualdrine
M’inseguono fin dentro la casa,
Giornalacci  che vendono menzogne,
Politici che propalano promesse
Quasi trappole e lacci per cuccioli e merli,
Pubblicità di un mare di miracoli,
Annunci per defunti sui muri che mi danzano intorno,
Quasi in una fiera di mimi sguaiati.

E che faccio? Strappo manifesti che gridano volgari,
Spengo radio, telefono, televisore
Che tutta l’aria intorno pervadono e scuotono,
Rompo cellulari che stridono garruli
Per chiacchiere inutili,
Chiudo gli occhi per non vedere,
Mi tappo le orecchie per non sentire?

Oh! Io non voglio soffocare dentro un mercato,
Dove ognuno è imbonitore di virtù fatte merce;
Se voglio raccogliermi  
A specchio di me stesso, m’impongo         
Di non passare per un viale qualsiasi,
Né per un miserabile vicolo,
Dove corrono immagini e voci che ti cacano addosso
Siccome arpie alle isole Strofadi
E solo posso rifugiarmi dentro una stanza
Chiusa a doppi vetri.

Felice te, Orazio, per vita d’altri tempi! E me felice
Quando tra pareti domestiche
Torno a conversare sui libri con voi morti
Più vivi dei morti da vivi,
Che così tanto frastuono mi sollevano intorno!
Felice te, che almeno lasciata la Via Sacra
Potevi eludere molestie di chiacchiere e scocciatori!
Felice te che, risalendo  su per la via di Tivoli
E aggirando i Lucretili, ti rifugiavi
Nella tua Digenzia lontana da frastuoni,
Dolce di voli e canti degli uccelli!

Non io potrò trovare  riparo
Dalle oscene voci, dalle turpi immagini,
Dai trilli dei telefoni che chiamano                                    
E mi scocciano ovunque.
Altro è il mio mondo dal tuo,
Altro è il mio ceto e il mio posto
Di piccolo uomo; e certo non ho postulanti
Per favori ai più umili da chiedere ai grandi.
Ma quanti la mia cassetta postale riempiono
Di proposte, di offerte, di ciance, di promesse
Di guadagni e regali tutti gratuiti!
Quanti dal video avanzano profferte,
E dicono d’avere a cuore il bene mio e la mia felicità!
E solo invece mirano ad impinguare il loro
Deposito bancario! Tutti modi ingegnosi
E marchingegni e trappole per spellicciarmi
Giorno dopo giorno persino degli spiccioli.

O come il mondo è cambiato nei secoli
E come in fondo è restato lo stesso
Del tuo tempo, Orazio, anche se al tuo genio
Toccò Mecenate e qualche importuno per via
E a me, piccolo uomo del mio tempo,
Toccò penuria di mezzi e il vivere oscuro dei campi!
Ma ancor oggi, tu felice cantore di carmi,
Di epodi, di satire, in questo bailamme
Di ciarlatani che tessono imbrogli,
Mi sei di conforto, quantunque io non sia un poeta
E non abbia una villa in cui avere rifugio,
Né io  la protezione abbia d’un principe pro tempore.
O tu Grande mi sei di conforto nel mio giorno,
Tanto che a riso mi muove ciò che a rabbia
Così forte dentro mi sollecita!

 

 

 

venerdì 19 giugno 2015

Pubblico qui di seguito la PREMESSA alle LETTERE del mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI
edito da SIMPLE
                               PREMESSA
   Vocabolari e storiografia letteraria sono concordi: la satira trae il suo nome da un piatto di varie vivande offerto agli dei, in quanto composizione di forme e contenuti variabili, di versi e prosa, cioè da ciò che è indicato con “satura”. Un miscuglio insomma, quasi un minestrone.
    D’altra parte, però, basterebbe non trascurare quello  che scrivono gli storici dell’antichità in proposito. Si coglierebbe facilmente la discendenza della satira da una specie di danze e di canti dei romani nei primi secoli, quindi da ciò che è derivato da “satyrus”.
   Dionisio di Alicarnasso, nella sua Storia di Roma arcaica (siamo nel V sec. A.C.) nel Cap. VII al punto 72.10, a proposito delle processioni, scrive: “Infatti ai danzatori armati facevano seguito i danzatori travestiti da satiri, che imitavano le danze sicinnide…..Costoro motteggiavano e imitavano i movimenti solenni, volgendoli in ridicolo”.
Sappiamo che questa tradizione popolare, diciamo anche plebea, giunge fino alle soglie dell’Impero, quando i legionari nei cortei trionfali di Cesare cantavano: “Ecco, ora trionfa Cesare che sottomise le Gallie e non trionfa Nicomede che mise sotto Cesare”.
  Se si raccogliessero e raccordassero i verbi “schernire, motteggiare,volgere in ridicolo” di cui parla Dionisio in proposito, si vedrebbe bene che questi sono i verbi propri di quella che poi sarà la satira nel suo manifestarsi nella storia letteraria. Si vedrebbe bene che, muovendo dai modi espressivi di coloro che, coperti di pelli di capre, rappresentavano i satiri, poeti e scrittori dei secoli seguenti realizzeranno opere letterarie non solo con linguaggio di scherno e motteggio, ma con raffinata ironia e  sarcasmo, come in Marziale,  di critica e denuncia e ancora di linguaggio beffardo, caustico, mordace, fino anche alla violenta fustigazione morale, come in Giovenale.
   Qui, in queste mie “lettere”, io ho voluto seguire in qualche modo sia l’una che l’altra interpretazione. Di fatto ho scritto quasi un “minestrone”, cioè un miscuglio di versi di varia misura che si congiungono in  versi più estesi nella composizione. Riguardo al contenuto, al genere, però ho tentato, così come m’è venuto, di seguire lo spirito ironico, di denuncia, quindi satirico,  che scaturisce dal mio senso di amarezza, da delusione profonda nei confronti del cammino dell’uomo nella storia.
   Composizioni, che ho voluto chiamare lettere, poiché con esse retoricamente mi sono rivolto a persone vive o defunte, e, curiosamente, persino alla Morte e alla Vita. Questo, però, non dovrebbe sembrare  poi tanto strano, giacché oggi non pare che ci sia tanta possibilità di comunicazione interpersonale concreta e  basata su rapporti affettivi e rilevanze emozionali. Meglio conversare con i Morti, cioè con i loro libri, e meglio parlare con se stessi, fingendo di rivolgersi alla Morte e alla Vita, che parlare in modo impersonale e convenzionale sul filo dei moderni mezzi elettronici e nelle corse affannose degli affari nell’odierno sistema di vita.
                                     L’Autore