martedì 3 settembre 2013


 

                                       TREBBO POETICO
  A lato di una via raccolta e silenziosa del centro di Ravenna, si apre un piccolo spazio rettangolare, con in fondo un lato coperto da un portico di quattro colonnine , contrassegnato dalla scritta posta ad angolo: “Piazzetta del trebbo poetico”. Sotto questa scritta è riportata la seguente frase di Ungaretti del 1956: “Invenzione geniale della poesia italiana”.
   L’invenzione geniale era stata del veneto Comelli e del ravennate Walter Della Monica proprio nel 1956, nella vicina Cervia. L’invenzione consisteva in un incontro (trebbo) con ascoltatori, con il popolo, in cui appunto l’attore Comelli, sostenuto dallo scrittore Walter Della Monica, recitava le poesie dei maggiori poeti contemporanei, da Ungaretti a Quasimodo, da Montale a Saba.
   L’iniziativa ebbe successo, si affermò a Ravenna e si estese dalla Romagna a tutta l’Italia. Poi decadde. Finì nel 1960.
   I poeti storici, quelli della letteratura dei secoli passati, avevano dedicato e letto le loro poesie a principi e baroni loro protettori. La poesia era funzionale al sostegno e alla celebrazione del loro potere. Al principio del ‘900 era cambiata la struttura sociopolitica, e Trilussa, Pascarella e Di Giacomo recitavano le loro poesie nei teatri. Era il popolo a dare lustro e denaro ai poeti; e la poesia svolgeva una funzione drammaturgica alla pari delle forme teatrali vere e proprie. Poi tutto finì lì.
   Il trebbo poetico fu un tentativo di riportare la poesia al popolo e il popolo alla poesia. Non resse però al successo. Ormai il popolo aveva altro. Aveva i grandi comizi, le tribune politiche, la televisione e le altre diavolerie elettroniche. Quale funzione avrebbe ormai potuto svolgere la poesia?
   Nei tentativi di rivivificarla, i poeti hanno cercato di reinventarla, ma invece l’hanno  soffocata negli sperimentalismi. Nei loro tentativi hanno voluto anche sopprimere la strofe, la metrica e la rima, per affidarsi a una retorica esagerata ed esasperata della metafora. Così la poesia si è consunta, è diventata altra cosa da sé. Ha perso la sua natura perché ha perso la sua funzione. O forse ha perso la sua funzione perché ha perso la sua natura. Ci vuole altro per rifondarla, forse per recuperarla. Se possibile.

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