martedì 23 gennaio 2018

Riporto la seguente lettera/satira
tratta dal mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI autoedita
con EDIZIONI SIMPLE

                A   M.  Z.                                                                       

Tu gentile mi chiedi perché i miei versi non pubblico,
Giacché – tu dici - sono limpidi ed hanno
Profondo senso poetico.
                  
Sarei un ipocrita se ti dicessi che mi muove pietà
Per le vetrici argentee, per gli agili pioppi, che il cielo
Sereno svariano d’umido verde nei giorni infuocati
D’estate e di caldi colori
In quelli che illanguidisce autunno.
Infatti per così poco
Bisogno non avrei di camion di carta,
Come Moravia per le tante sue opere o peggio di treni
Che Montanelli consuma per la penna mai quieta.
Pietà degli alberi non hanno i grandi editori,
Quando i libri pubblicano che non valgono un fico,
Purché scritti siano da questo o quel giornalista,
Da un attore o gran cuoco o da un divo qualsiasi,
Da uno già noto comunque;
Pietà non ne hanno  i poeti
Quando elencano parole in schemi d’epigrafi
E dalle loro frenesie
Lambiccano inaccessibili metafore,
Senza né punti né virgole
E per poesia il tutto gabellano.

Più ancora m’indugia pudore
Di debole e tremula voce
Sommersa fra gli strepiti di mille
E mille  sedicenti poeti
Che dalle paginette gridano parole ubriache e le loro                      
Anime  isteriche in  versi insaponano stolidi; tra tanto
Gracidare confuso d’opuscoli,
Chi mi trarrebbe più in alto
Sicché udire si possa
Da dieci lettori l’ingenuo mio canto?
Non certo verrebbero i critici ad aprirmi le porte
Degli editori, poiché se costoro
Sono  troppo impegnati
Nell’industria dei nomi affermati comunque,
Quelli sono intesi a fingere d’avere trovato qualcosa
Dentro l’altrui lavoro che essi invece vi han messo.
Né io intendo darmi per stupido prurito del mio nome
Ai viscidi tentacoli protesi
Da un di quei che stampano
Per denaro sonante libercoli a gettito continuo
E intorno al collo d’illusi poeti stringono grinfie
Simile a quelle di notturni e astuti rapaci.

Quantunque onestamente
Stampando i miei versi a mie spese
Ne donassi le copie agli amici e le spedissi a quelli
Che nelle riviste contano e imbastiscono chiacchiere
Argute sulle lettere, chi ne farebbe conto?
Chi vedendole appena
Non le butterebbe fra le inutili carte           
Che nelle borse rigonfie ci porta il postino
Per la fiera di ciarle che infinocchiano  folle?
Si ciancia a bella posta di libertà dell’uomo
E delle idee, ma è solo libertà di mercato
In cui solo  chi tiene denaro può avere parola,
Solo chi ha denaro
Stringe nel pugno il potere dell’uomo        .
        
Ma io denaro non ho,
Né a lotto gioco o vinco scommesse                       
E non nutro speranze di fortune improvvise;
Ho solo desiderio di dire e di farmi ascoltare
Dalle pagine scritte. Ma essi ne han voglia?
Ma poi perché leggere dovrebbero
Un mio misero libretto
Coi miei poveri versi che a furia di lima rilucono
Appena qua e là fra ruvidi suoni
Ed aspri corrucci che da dentro mi scuotono?
Quanto a me certamente sai
Che io scrivo per me stesso,
Per dire quel che m’urge di quel che intorno accade,
Per lo sfogo di rabbia che ribolle a me ribelle dentro
Verso un mondo sconnesso che disfido,
Che guardo e nel guardarlo esplodo e allora scrivo
E nei miei versi io non veduto di me stesso rido.




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