sabato 25 maggio 2013


                                                           COME ERANO
                                     (E PERCHE’ FECERO L’ITALIA)
    Le nostre generazioni, quelle dei miei coetanei, sono state influenzate da due correnti culturali: quella religioso-vaticanesca e quella laico-idealista. Ambedue interessate a tenerci il capo fra le nuvole e a farci guardare il dito e non la luna. Con le correnti realistiche, specialmente con quella  marxista-gramsciana, ci si sono chiarite le idee, e sappiamo bene che  i fatti economici sono le cause dei mutamenti delle idee degli uomini e del cammino della storia. Perciò io penso che è bene non rifarsi ai testi di storia, quasi sempre intesi a manipolare gli eventi e le loro cause a sostegno delle istituzioni precostituite e delle classi dominanti; bisogna  affidarsi ad altri testi. Mi è capitato di riprendere fra le mani un volume del Belli. Casualmente mi è accaduto di riprendere il seguente sonetto  datato al 1 dicembre 1834.
                             LA GABBELLA DE CUNZUMO
                        Fu inzomma che ar partì da Stazzanello
                        La sora Pasqua la commare mia
                        Me diede un zanguinaccio, e Nastasia  
                        Se lo volle agguattà sotto ar guarnello.
                        Ce ne venimio bberbello bberbello,
                        Quanno proprio a l’entrà de Porta Pia,
                        Fussi caso ch’avessimo una spia,
                        Ce vedemo affermà dda un cacarello.
                         Lui, visto er bozzo, schiaffò ssotto un braccio
                         E ll’agnede a ttastà ddove capite,
                         Con la scusa de prenne er sanguinaccio.
  
                         Come finì? ffinì sta bbuggiarata
                         Che io perze tutto e ppe’ nnun fa una lite
                         Me portai via mi’ fijja sdoganata.   
      A parte il rilievo sulla preziosità del sanguinaccio in quei tempi di miseria, e al di là da ogni altra considerazione, a noi qui interessa il fatto che per entrare da Stazzano a Roma ( Stazzanello era una tenuta dei Borghese vicino Stazzano, a pochi chilometri da Roma) bisognava pagare dazio/”gabbella” (o la dogana) anche per un sanguinaccio. E’ vero che dopo l’unità d’Italia il dazio rimase sul transito della merce da un comune all’altro, ma solo per il commercio. Ancora dopo il secondo dopoguerra, chi non ricorda l’ufficio del dazio e la “bolletta di accompagno”?    Peggio, molto peggio avveniva ai tempi del Belli per la dogana e i visti per il passaporto da uno statarello all’altro dell’Italia d’allora. Basta leggersi il sonetto L’AMORE DE LI MORTI in data 1 dicembre 1835 sempre del Belli.
                                       L’AMORE DE LI MORTI 
                             A sto paese tutti li penzieri,
                             Tutte le lòro carità ccristiane
                             So’ ppe’ li morti; e appena more un cane,
                             Je se smoveno tutti li bbraghieri.
                             E ccataletti, e mmoccoli, e incenzieri,
                             E asperge, e uffizzi, e mmusiche, e ccampane, 
                             E mmesse, e ccatafarchi, e bbonemane,
                             E indurgenze, e ppitaffi, e ccimiteri!....
                             E intanto pe’ li vivi, poveretti!,
                             Gabbelle, ghijjottine, passaporti,
                             Mano-reggie, galerre e ccavalletti.
                             E li vivi poi-poi, bboni o ccattivi                         
                             So’ cquarche ccosa mejjo de li morti:
                             Nun fuss’ antro pe’ cquesto che sso’ vvivi.
   Questo sonetto fu composto dal Belli  in occasione di un suo viaggio a Milano, passando per Firenze e Genova e poi, al ritorno, per Bologna, Rimini, Pesaro, ecc.  Fra tasse e mance (dette allora “bonamano”) queste furono le spese e perdite di tempo per i visti sul passaporto, che riporto in estrema sintesi: a Roma 100 baiocchi; uno scudo e 25 baiocchi a Firenze, in cui dovette chiedere autorizzazioni per il soggiorno al ministro sardo, al console pontificio e al ministro austriaco; a Genova fu costretto a un andirivieni (fra polizia, console pontificio, ministro degli esteri) di 5/6 giorni, pagando tasse e bonamano a ciascuno somme per complessivi scudi 2. Si tenga conto che il Belli poteva allora ben pranzare con circa 25 baiocchi: a conti fatti, quei visti, comprese le mance, gli vennero a costare un equivalente di 16 pranzi.
   In considerazione di questa esosità, che oggi farebbe impallidire Equitalia,  e dei relativi intralci e garbugli, l’opinione popolare, come al solito, è subito pronta ad attribuire la colpa alla burocrazia; infatti i tromboni e i tirapiedi al servizio delle classi dirigenti (politiche ed economiche) cercano di attirare sempre l’attenzione sul dito e non sulla luna. Infatti è la politica, il potere, che crea, con norme e regolamenti, intralci, garbugli e impone tasse; gli impiegati (la burocrazia)  eseguono soltanto gli ordini e fanno semplicemente il lavoro per cui sono pagati. 
   E ancora una volta mi domando: Perché oggi la poesia ha solo la capacità di piangersi addosso, di ricercare le metafore più astruse, di giocherellare con le parole e non ha più la funzione di muovere e commuovere l’animo di fronte alle ingiustizie del nostro momento storico?

 

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