TORNANDO SULLA FUNZIONE DELLA
POESIA
Tralasciamo
gli infiniti poeti dilettanti, che straripano on line e sul cartaceo, autostampati e autoediti.
Sono certamente un bene. Come erano un bene gli innumerevoli poeti-cantori e poeti
a braccio in ottava rima, che pullulavano nelle osterie e nelle campagne dei
secoli scorsi.
Il massiccio
numero dei poeti non costituisce un problema. Non inquina né altera, come forse potrebbe sembrare a uno
sguardo superficiale, la produzione poetica del nostro tempo; così come non
aveva alterato quella dei secoli scorsi.
Costituisce
un problema, invece, la permanenza o meno delle funzioni della poesia nel mondo
odierno. Perché ci dobbiamo chiedere: a che cosa serve oggi la poesia nel mondo
della tecnica, di internet, della velocità e del cambiamento?
Per la massa
dei poeti essa potrebbe anche avere una funzione ludica, una funzione di
evasione, consona alla nostra esistenza convulsa e spesso drammatica, per
l’allentamento di tensioni emozionali
che salgono dal cuore e che si sciolgono in momenti espressivi, nelle parole,
come grumi che si fanno umore fluido.
Il problema
della funzionalità della poesia non è,
però, solo per i poeti; ma è per il mondo attuale, per il
mondo di tutti; per il mondo dei poeti e dei non poeti. Un mondo pragmatico e mercantilistico, precario e
instabile nell’affannarsi dell’uomo su impegni materiali; impegni che coinvolgono l’uomo sino a distoglierlo dalla
naturale riflessione interiore propria del suo animo. Impegni materiali che distolgono l’uomo dai richiami dei drammi
profondi di un mondo della natura violentato e sconvolto proprio dalla sua
azione vorace e insensata. Un mondo in cui l’uomo pare realizzarsi ed esaurirsi nella tecnica. Talmente la tecnica è diventata invasiva ed intrusiva.
Esiste ancora
la possibilità di una funzione della poesia in un mondo così alterato dall’azione
dell’uomo contemporaneo e in cui tutto si misura sulla dimensione del mercato? Tra
mercato e tecnica, il mondo dell’espressione umana sembra condensarsi nella
prosa. Il verso stesso sembra impacciare il poeta. Sembra che il poeta non
sappia come liberarsene.
Nell’economia
di mercato, la poesia può avere valore di merce e, come tale, avere valore di
scambio col denaro? A guardare l’editoria si può affermare decisamente di no. A
meno che non si guardi al mercato del fai da te, dell’autopubblicazione, in cui
a camparci però sono gli operatori d’impresa e non i poeti. Ma sul piano del
numero dei lettori, si potrebbe dire che la funzione della poesia sia esaurita.
A meno che non se ne tenti un recupero. Forse anche con un riannodarsi in
qualche modo al passato. Almeno per non andare totalmente in deriva.
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