lunedì 9 aprile 2012


                                           LA FUNZIONE DELLA POESIA
   Anche ai semplici lettori mi pare che possa accadere di chiedersi quale sia la funzione della poesia. Porsene la domanda mi sembra invece necessario per chi abbia voglia di scrivere versi con consapevolezza delle ragioni, dei fini, degli strumenti e dei modi che  connotano la poesia.
   Certamente alla radice della scrittura poetica c’è l’esigenza primaria dell’espressione delle cariche emotive dell’uomo; esigenza che nei tempi oscuri della storia coincise col canto e con la musica, per cui si motivarono le misure dei versi, i loro ritmi e le strofe, facendo nascere la poesia come arte specifica.
   La poesia però non è solo espressività dei moti dell’animo. E’ anche strumento di comunicazione religiosa, come  negli inni sacri e nei salmi. Ed è anche, forse soprattutto, strumento di enunciazione e diffusione delle idee, di contenuti culturali, come con Lucrezio e Dante, di sviluppo e consolidamento delle idee nazionali e del potere, come con Virgilio e Orazio nell’antichità e come con Carducci più recentemente; di propaganda più o meno palese insomma.
   La  diffusione della poesia certamente era legata alle potenzialità della sua  memorizzazione  per effetto del ritmo, delle rime e delle strofe, che ne facilitavano anche l’apprendimento e la declamazione specialmente in tempi di analfabetismo strumentale, quando era cantata e recitata anche dai ceti popolari, persino nei paesi dei contadini.
   Le classi dirigenti che ne usufruivano come strumento di persuasione, di consenso e di potere, però già al principio del secolo scorso avevano trovato strumenti ben più efficaci e alternativi di comunicazione di massa nella stampa, nella radio e poi nel cinema, sia per la capillarità di diffusione sia per l’enorme capacità di coinvolgimento popolare.
   Ne pagò subito il prezzo  Rapisardi, osannato fino a pochi anni prima e oscurato e dimenticato subito dopo la morte. Ne fu poi testimone più ancora l’ermetismo, quando i poeti ormai erano  isolati ed emarginati dal mercato culturale.  Da allora la poesia à stata quasi espulsa dai cataloghi editoriali e si è limitata e racchiusa in un’esperienza solipsistica, in uno sperimentalismo parossistico, in un’ubriacatura della metafora. Quale può essere oggi la funzione della poesia così condizionata dai tanti nuovi linguaggi apparsi e ormai d’uso comune con lo sviluppo tecnologico e con la produzione dei nuovi mezzi elettronici? Quale nei tempi del cellulare, di Twitter e  di Facebook?
  Ce lo dobbiamo chiedere, se davvero vogliamo ancora utilizzare il linguaggio poetico con la consapevolezza che esso richiede.

 




















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