venerdì 1 gennaio 2021

 

                        MORGANTE  E  IL.. .COVIS

  Il Pulci era un toscano e, come più o meno tutti i toscani, si esprime nel suo poema “Il Morgante” con tutto il suo spirito arguto e insieme ridanciano. E proprio coerentemente col suo spiritaccio, il Pulci scrive l’opposto di quanto gli era stato chiesto dalla Tornabuoni, madre del Magnifico, suo protettore: non il poema esaltante le gesta del cristianissimo Carlo Magno, e non tanto quello delle avventure fantasiose e mirabolanti dei paladini, quanto quello delle avventure ribaldesche dei due giganti, cioè  il mezzo gigante Margutte alto solo quattro metri, e il gigante Morgante, da cui prende il titolo l’opera, alto otto metri e armato di un batacchio di campana.

  Nella lettura delle sue ottave ci si diverte con la figura di Morgante accompagnato da Margutte, ma viene anche da riflettere sul  perché il Pulci ha voluto introdurre un personaggio così grottesco nel suo poema. Banalmente si potrebbe paragonare la sua funzione narrativa con quella dell’orco nelle favole: qui per meravigliare e simboleggiare la malvagità e i pericoli nella vita, nel poema per divertire, per rompere la noia della vita di corte con una risata. Un’opinione che potrebbe essere plausibile, ma che non mi pare soddisfacente.

  Troppo fine mi pare al riguardo l’intelligenza del Pulci e troppo prorompente la sua fantasia creativa e immaginativa. E soprattutto  troppo forte la sua capacità d’ironia, troppo straripante il suo fervido spirito burlesco da vero e puro toscano. Mi pare invece che la figura del gigante Morgante sia una metafora, così come appare il popolo  nel sonetto “L’uomo” di Campanella e mi pare anche il gobbo di “Notre Dame de Paris”  di Hugo.

  E posta la cosa in questa prospettiva, mi colpisce soprattutto l’episodio della sua morte; o meglio la metafora della sua morte: un gigante di otto metri e armato di un batacchio di campana che muore per il morso di un granchiolino! Così al confronto mi viene in mente la morte dell’uomo per un infinitamente piccolo essere, appunto un microscopico virus,  come l’odierno Covis 19, o come i micidiali bacilli e batteri della tisi, del vaiolo, della poliomielite appena sconfitti nel recente passato!

  Allora, nel Quattrocento, il Pulci non si sarebbe potuto immaginare l’esistenza di qualsivoglia batterio o bacillo e tanto meno quella dei micidiali virus, osservabili soltanto con i più potenti e recenti microscopi elettronici. E perciò il Pulci fa morire nella metafora dell’uomo il gigantesco Morgante con un morso di un minuscolo granchiolino, con un rapporto di grandezza tra i due che  potrebbe essere espresso da un numero grandissimo: quanti granchiolini ci vorrebbero per pareggiare la grandiosità di un gigante alto otto metri?

  Ma il gigante Morgante non potrebbe essere la metafora dell’uomo e del popolo, così come il popolo è identificato con un gigante  nel sonetto campanelliano? Allora potremmo dire che la superbia di potenza e di grandezza dell’uomo e del popolo  viene derisa e messa  in ridicolo non solo dalla morte per un morso di granchiolino come nel quattrocentesco Morgante, ma tanto più oggi con la morte ad opera del Covis 19 d’infinitesima e microscopica piccolezza.

 

 

 

 

 

 

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