MORGANTE E IL.. .COVIS
Il
Pulci era un toscano e, come più o meno tutti i toscani, si esprime nel suo
poema “Il Morgante” con tutto il suo spirito arguto e insieme ridanciano. E proprio
coerentemente col suo spiritaccio, il Pulci scrive l’opposto di quanto gli era
stato chiesto dalla Tornabuoni, madre del Magnifico, suo protettore: non il
poema esaltante le gesta del cristianissimo Carlo Magno, e non tanto quello
delle avventure fantasiose e mirabolanti dei paladini, quanto quello delle
avventure ribaldesche dei due giganti, cioè il mezzo gigante Margutte alto solo quattro
metri, e il gigante Morgante, da cui prende il titolo l’opera, alto otto metri
e armato di un batacchio di campana.
Nella lettura delle sue ottave ci si diverte con la figura di Morgante
accompagnato da Margutte, ma viene anche da riflettere sul perché il Pulci ha voluto introdurre un
personaggio così grottesco nel suo poema. Banalmente si potrebbe paragonare la
sua funzione narrativa con quella dell’orco nelle favole: qui per meravigliare
e simboleggiare la malvagità e i pericoli nella vita, nel poema per divertire,
per rompere la noia della vita di corte con una risata. Un’opinione che
potrebbe essere plausibile, ma che non mi pare soddisfacente.
Troppo fine mi pare al riguardo l’intelligenza del Pulci e troppo prorompente
la sua fantasia creativa e immaginativa. E soprattutto troppo forte la sua capacità d’ironia, troppo
straripante il suo fervido spirito burlesco da vero e puro toscano. Mi pare
invece che la figura del gigante Morgante sia una metafora, così come appare il
popolo nel sonetto “L’uomo” di
Campanella e mi pare anche il gobbo di “Notre Dame de Paris” di Hugo.
E posta
la cosa in questa prospettiva, mi colpisce soprattutto l’episodio della sua
morte; o meglio la metafora della sua morte: un gigante di otto metri e armato
di un batacchio di campana che muore per il morso di un granchiolino! Così al
confronto mi viene in mente la morte dell’uomo per un infinitamente piccolo
essere, appunto un microscopico virus,
come l’odierno Covis 19, o come i micidiali bacilli e batteri della
tisi, del vaiolo, della poliomielite appena sconfitti nel recente passato!
Allora, nel Quattrocento, il Pulci non si sarebbe potuto immaginare
l’esistenza di qualsivoglia batterio o bacillo e tanto meno quella dei micidiali
virus, osservabili soltanto con i più potenti e recenti microscopi elettronici.
E perciò il Pulci fa morire nella metafora dell’uomo il gigantesco Morgante con
un morso di un minuscolo granchiolino, con un rapporto di grandezza tra i due
che potrebbe essere espresso da un
numero grandissimo: quanti granchiolini ci vorrebbero per pareggiare la grandiosità
di un gigante alto otto metri?
Ma
il gigante Morgante non potrebbe essere la metafora dell’uomo e del popolo,
così come il popolo è identificato con un gigante nel sonetto campanelliano? Allora potremmo dire
che la superbia di potenza e di grandezza dell’uomo e del popolo viene derisa e messa in ridicolo non solo dalla morte per un morso
di granchiolino come nel quattrocentesco Morgante, ma tanto più oggi con la
morte ad opera del Covis 19 d’infinitesima e microscopica piccolezza.
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