Questa Lettera tratta dal mio LETTERE BIGLIETTI E BIGLIETTINI
edito da SIMPLE, fu indirizzata da me a Giovanni Marzoli, che la pubblicò
sulla sua rivista letteraria CONTROVENTO NEL 1974.
La ripubblico qui in omaggio e in ricordo di Giovanni Marzoli, uomo
di lettere e di grande cuore.
A G.
MARZOLI (1974)
Quando io ti scrissi il due
d’agosto
Ancora la rivista non m’era
arrivata.
Se l’avessi aspettata da un
uomo a cavallo
Di certo mi sarei dato mille
pensieri:
O che il cavallo si fosse
rotto un garetto,
O
che un ferro cavato gli fosse dall’unghia consunta,
O che al cavaliere rotti si
fossero
I glutei per il troppo lungo
viaggio,
O altra induzione di certo
avrei fatta.
Oggi la posta, si sa, cammina
col treno
Ed arriva alle case secondo
un sistema
Perfettamente regolato in
ogni suo punto,
Giacché
strumenti ognora più veloci s’inventano
E
organizzazioni puntuali si studiano
Perché
sicuro e celere ciascuno si muova,
ma
dove ognuno confuso come a rete
s’impiglia
Per
cui si procede sempre più lenti e impacciati;
Perciò io ogni lettera resto
Ad
aspettare tranquillo per mesi, quand’anche
D’essere al macero andata il
dubbio ci fosse.
In verità io la rivista
l’ebbi dopo circa venti giorni,
Pensa, portata dal postino
fino a casa!
Un
crumiro lo diranno i suoi colleghi,
Io
un fior di galantuomo
Poiché non ha neanche
soppesato il pacchetto
E
per via di pochi grammi in soprappeso,
In
barba alle leggi sindacali,
Non
mi ha mandato affatto a ritirarlo,
Nell’ora
di lavoro, all’ufficio della posta;
Come
vedi un fiore d’impiegato, uno su mille.
Non appena ricevetti le
ponderose copie
Avrei
potuto scriverti, ma come sempre
Testardo
anche mandarti
Una
poesia volevo, che da tempo zittiva
Nel
cassetto fra tutte le mie carte,
Dove
il mio demone della lima rovista
Mai
pago di rifinire ora questo
Ora
quel verso che chiede appena un colpetto
Per sentirsi più sano, più
vispo, più bello.
Pur ecco ho trovato il tempo
( ah, questo maledetto
Tempo
che ci sfugge !) per dirti il mio pensiero
Sulla
rivista, su come l’ho trovata
Nella
nuova veste: bella! giovane e bella
Come
una ragazza d’anni ventisei vestita a festa!
Ho
scorso le pagine una per una sino alla fine,
Soffermandomi più a lungo
laddove il discorso
Lumeggiava la tua nobiltà di
parola e di vita
E
sulla tua profonda umanissima
“Preghiera”.
Chi
può contare le fatiche
Per ciò che di nobile si
pubblica ?
Non
di certo i nostri nuovi principi dimentichi
Della valenza delle arti
nella civiltà dei popoli!
Non
di certo una classe dirigente ottusa
Alla
bellezza che crea e che al senso del mondo
Il
cuore degli uomini ispira!
Noi poeti non produciamo beni
che crescono al sole,
Né
alimenti che ingozzano folle,
Non denari che ingrassano
banche,
Non assordiamo le città con
le nostre officine,
Né
schiamazziamo nelle piazze
Per
aumenti di salario.
In un secolo in cui
s’intendono solo le voci
Acri e sanguigne del capitale
e del lavoro
Combattersi per beni materiali
Chi vuoi che scruti la fiamma
dello spirito
Che s’accende dalle nostre
ignee parole?
O
parole che hanno radici nelle nostre coscienze
E non si pagano! O le nostre
coscienze
Tormentate
al creare e ricreare sentimenti
Del
tempo che ravvivano la cultura e l’uomo!
Ma
chi s’accorge di ciò ? Come poeti
Non
siamo un sindacato, né raccogliamo voti
Per
coloro che imperano e, dunque, non dobbiamo
Pagine
avere che per nostre spese.
Ben misera cosa è pagarsi le
pagine che recano
Impresso il nostro bisogno
di dire,
Ma non così come il far di
quegli attori
Che
per pagarsi gli agi della vita
Come
gli antichi buffoni di sé davanti al volgo
Tra
di loro si prendono a sberleffi.
Vero
è che spesso ci leggiamo solo tra noi
E
pochi altri sensibili al canto delle muse,
Tanto
che a volte mi par che ogni poeta
Sia
costretto a fare come il gatto quando
Con
se stesso gioca e la coda s’acchiappa.
E
questo già mi duol per questo mondo
Che
si regge sul ferro e sul petrolio,
Che
sempre più alle sue macchine somiglia.
Ora
ho fatto troppo lungo il mio discorso
E
te ne chiedo venia; e mentre mi congedo
Augurale
ti lancio un saluto: Orsù,
Con
la rivista vola al cinquantennio!
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