giovedì 11 luglio 2013

                                  LA  RIMA  IN  TRILUSSA
   Ancora una volta, ad una rilettura recente, mi è sembrato naturale riflettere  sugli  aspetti più significativi della poesia di Trilussa: quelli che vanno dalle sue deviazioni dall’ortodossia del dialetto romanesco autentico e trasteverino, come rimproveratogli dal Chiappini, al valore formale della rima  nella sua poesia.
   Qui mi voglio soffermare assai succintamente  proprio su quest’ultimo aspetto. Mi pare giusto affermare in proposito che la rima nella poetica di Trilussa non è un elemento accessorio  della forma, ma è coessenziale alla strutturazione del verso, della strofe,  della composizione nel suo afflato creativo. E neanche è un elemento sovrabbondante del verso, un qualcosa di aggiuntivo e di ornamentale,  quando è invece una nota musicalmente funzionale all’efficacia dell’unità e integrità  del discorso poetico.
   Questa funzionalità spontanea mi pare che si possa esemplificare con il suo ricorso alla rima nell’interno di molti endecasillabi, costruiti ciascuno con la somma di due versi, in modo che alle rime poste alla fine dei versi si aggiungono qua e là anche le rime nel corpo stesso del  singolo endecasillabo. Cito qui di seguito a caso:
“Forse farò ribrezzo,
  Ma so’ tutto d’un pezzo/ e ce rimango!” (endecasillabo = settenario rimato +  quaternario).
“Ma er Sorcetto, che s’era già anniscosto
  Non ve dico a che posto/ j’arispose” (endecasillabo = settenario rimato + quaternario).
 “Me sdraio su la riva e guardo l’acqua
  Che me risciacqua/ tutti li pensieri” (endecasillabo = quinario rimato + senario)
   Si potrebbe pensare che Trilussa, con queste rime nel mezzo dell’endecasillabo, abbia voluto usare un espediente retorico per l’ornamento musicale, come  rinforzo della sonorità della rima. Ma allora questa avrebbe solo il senso di un fronzolo. Non mi pare che sia così, perché  essa vi scaturisce con la naturalezza del discorso ed è espressione di pura creatività poetica.
    Infatti la rima non è che un elemento musicale connaturato col verso accentuativo. E questo lo è stato e lo è ancora per tutta la nostra poesia; sin dai tempi di Giustino Fortunato, con cui si abbandona il ritmo del verso quantitativo. E’ nella nostra contemporaneità che si cerca di eliminarla in quanto ritenuta ostacolo alla pura spontaneità dell’espressione poetica, in nome di un lirismo parossistico, che è solo un malinteso della natura della poesia.


Nessun commento:

Posta un commento